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La Donna Artista, tra il XVI e il XVII secolo

Pubblicato il 28 giugno 2014 da redazione

Grazie ai grandi movimenti per i diritti delle donne del secolo scorso, l’interesse per le grandi personalità femminili nell’arte è notevolmente aumentato. Sicuramente qualcuno tra voi ricorderà Artemisia Gentileschi, un’artista vissuta a cavallo del XVI-XVII secolo che negli anni ’70 è diventata il simbolo del femminismo internazionale. Dovete sapere che Artemisia non è stata l’unica donna artista del suo tempo; in Italia e in Inghilterra furono numerosissime le donne impegnate nella pittura, nella scultura e nell’incisione. Detto ciò, nessuno si è posto l’inevitabile dilemma: come sono riuscite queste donne ad abbattere con le proprie forze molte delle pesanti limitazione che il contesto sociale di quel tempo gli imponeva? Il merito va tutto al fantastico spirito d’innovazione che accompagno il XVI secolo. L’ideologia rinascimentale trasformò radicalmente l’arte, che da meccanica divenne molto più liberale; la pittura non fu più relegata nelle botteghe e praticata dai soli individui ‘meritevoli’, chiunque poteva appassionarsene e praticarla liberamente, comprese le donne a cui prima era interdetta per paura dei pericoli che incorrevano allontanandosi dalla casa paterna. Ovviamente, nonostante queste rivoluzioni culturali, non si arrivò a considerare la donna al pari di un uomo, agli occhi della società rimase una creatura irrazionale e imperfetta, sempre vista in relazione a un uomo. Risulta di conseguenza che l’arte ‘femminile’ fosse ritenuta inferiore e le donne-artiste viste come ‘poche eccezioni’ (in alcuni casi le capacità artistiche di una fanciulla potevano fungerle come parte della sua dote).

L’apprendimento dell’arte doveva rigorosamente avvenire nell’ambiente domestico, al fine di non incorrere in situazioni che potessero in qualunque modo compromettere l’onore dell’allieva.

Sofonisba Anguissola Autoritratto 1554 olio su tela Vienna Kunsthistorisches Museum.

Sofonisba Anguissola, Autoritratto, 1554, olio su tela, Vienna, Kunsthistorisches Museum.

Judith Leyster, 'Autoritratto', 1635, Washington D.C., National Gallery

Judith Leyster, ‘Autoritratto’, 1635, Washington D.C., National Gallery.

La prima eccezione a questo rigido sistema fu Giudith Leyster, figlia di un fabbricante di birra che in breve divenne una famosa pittrice e insegnante (anche di apprendisti maschi).

A livello artistico, la maggior parte delle personalità femminili durante gli anni giovanili realizzavano per lo più autoritratti o ritratti, come se in qualche modo volessero dare prova del loro talento. Prendiamo ad esempio Sofonisba Anguissola (1532-1625), figlia di un dotto aristocratico di Cremona, che si adoperò molto per l’educazione e la formazione di tutte e sei le sue figlie. Ben presto Anguissola fu apprezzata come ritrattista, diventando la pittrice di corte di Isabella (moglie di Filippo II re di Spagna) e la prima donna di fama internazionale. Nelle sue opere scelse di riproporre spesso una dimensione domestica e delle conseguenti tematiche familiari; come in Partita a Scacchi che apparentemente raffigura un innocuo intrattenimento tra sorelle, ma allo stesso tempo dà prova del loro ingegno e intelletto, requisiti fondamentali che l’artista riteneva dovessero avere gli appartenenti all’aristocrazia e alle classi medie. A livello tecnico Anguissola ricercava una resa minuziosa dei dettagli relativi agli indumenti e all’ambiente che circondava il soggetto.

Lavinia Fontana, 'Autoritratto', 1579, Firenze Uffizi.

Lavinia Fontana, ‘Autoritratto’, 1579, Firenze Uffizi.

Un altro importante personaggio femminile di quegli anni fu Lavinia Fontana, figlia del pittore manierista Prospero Fontana. Oltre alle esperienze pittoriche del padre ebbe la possibilità di apprendere lo stile veneto, toscano e lombardo; inoltre poté frequentare per diverso tempo i Carracci, dai quali venne parzialmente influenzata. Si sposò con il pittore Giovan Paolo Zappi con il quale ebbe undici figli, ma non abbondonò mai la sua attività, al punto che convinse il marito a cessare la sua attività in proprio e a diventare il suo assistente. Acquisì velocemente fama, tanto che vennero richiesti i suoi servigi anche per pubbliche commissioni su larga scala; venne persino invitata a Roma da papa Gregorio XIII che gli commissionò innumerevoli lavori per l’entourage della corte papale e la nominò pittore ufficiale. Lo stile di Lavinia è molto minuzioso, soprattutto riguardo i particolari dei vestiti e delle acconciature femminili; propria per questa sua ricerca dei dettagli e per la rapidità con cui effettuava i ritratti li vendeva a prezzi molto elevati. Sebbene all’inizio della sua carriera si affermò come ritrattista, si appassionò molto ai temi religiosi e mitologici che ricorrono spesso nelle sue opere, come in Madonna Assunta di Ponte Santo e i santi Cassiano e Pier Crisologo che risente di un’impostazione tipica del ‘disciplinamento’ ideologico della Controriforma. Le più importanti opere per la sede papale furono: il dipinto Visione di San Giacinto per il titolo cardinalizio di Santa Sabina e Lapidazione di Santo Stefano nella Basilica di San Paolo (venne distrutto durante un incendio nel 1823). La pala d’altare più innovativa dipinta da Lavinia fu Natività della Vergine, un capolavoro di luminismo, dove la pittrice riduce la scena sacra in un lessico familiare, in cui proiettare la propria condizione di madre.

Fede Galizia (1578-1630)

Fede Galizia, Ritratto di Paolo Morigia.

Fede Galizia, Ritratto di Paolo Morigia.

Nata a Milano, figlia del pittore e miniaturista Nunzio Galizia, imparò dal padre a disegnare a soli 12 anni. A 16 anni era già un’artista affermata ed era celebre per i suoi dipinti dallo sfondo religioso, gli vennero infatti commissionate numerose pale d’altare per le chiese di Milano.

Fin dall’adolescenza intraprese ricerche nell’ambito artistico lombardo riuscendo a individuarne il realismo nell’osservazione della natura, attraverso soluzioni di artisti nordici e fiamminghi stanziati sul territorio. Da questa riscoperta del realismo nacque Ritratto di Paolo Morigia (1596), studioso gesuita sostenitore dell’artista. Si tratta della prima opera conosciuta di Fede Galizia.

Galizia dispone la figura su un fondale buio da cui sembra emergere la candida veste dalle ampie pieghe del gesuita, su cui gioca sapientemente la luce. L’ambiente che circonda il soggetto è ricco di libri e suggerisce la sua attività laboriosa; Morigia ha la penna sollevata e lo sguardo corrugato quasi a voler esprimere la consapevolezza a una casta intellettuale privilegiata (si intravede l’influsso della fisiognometria cinquecentesca nella rappresentazione delle espressioni legate agli stati d’animo).

Artemisia Gentileschi (1593-1653)

Autoritratto, di Artemisia Gentileschi.

Autoritratto, di Artemisia Gentileschi.

Figlia del pittore toscano Orazio Gentileschi, compì il suo apprendistato artistico presso la bottega del padre, imparando il disegno, l’arte di impastare e dare lucentezza ai colori.

Durante quegli anni il padre venne influenzato da Caravaggio, al quale forniva le travi di sostegno. Quando quest’ultimo giunse a Roma, Orazio era un pittore di quarant’anni ormai affermato; aveva maturato uno stile ben definito, radicato nella pittura di maniera (aveva solo in parte assorbito il realismo di Caravaggio che ancora era nella sua fase iniziale, pervasa da un gentile lirismo che meglio si adattava alla tradizione toscana). Di conseguenza anche Artemisia risentì dell’idealismo di maniera della scuola toscana perseguito dal padre; anche se l’artista acquisì da Caravaggio il virile realismo romano.

La prima opera attribuita alla diciassettenne Artemisia è Susanna e i vecchioni che non mostra ancora connessioni evidenti col caravaggismo, se non per un particolare: la mano aperta del vecchione sulla sinistra disegna una traccia ovoidale sulla spalla del vecchio di destra, lo stesso particolare è rappresentato in Giuditta che decapita Oloferne di Caravaggio. Al contrario sono evidenti gli insegnamenti del padre: il controllo del disegno anatomico, la modulazione sofisticata di luce e ombra, e infine l’accostamento dei colori, che caratterizza Orazio Gentileschi e sua figlia rispetto ai caravaggisti. Ma anche in questo Artemia ci mette del suo e si allontana dallo schema dei colori del padre suggerendo altri modelli, come l’accostamento giallo-verde, violetto, rosso e grigio blu.

Susanna rischiama in modo significativo gli affreschi di Michelangelo nella Cappella Sistina sia per l’aspetto coloristico che per la postura. Gli stessi prototipi del Rinascimento vengono adottati nella Madonna col bambino sia nei volumi massicci, nella fisicità tattile, che riportano al Mosè di Michelangelo, all’Isaia di Raffaello e sia alle sculture di Madonne col Bambino di Jacopo Sansovino.

fig 5 Susanna e i vecchioni (1610) collezione Schonborn, Pommersfelden

Susanna e i vecchioni, 1610, collezione Schonborn, Pommersfelden.

fig 6 madonna con bambino (1609-1610) Palazzo Pitti, Galleria Palatina, Firenze

Madonna con bambino, 1609-1610, Palazzo Pitti, Galleria Palatina, Firenze.

Giuditta uccide oloferne, 1620, Galleria degli Uffizi, Firenze.

Giuditta uccide oloferne, 1620, Galleria degli Uffizi, Firenze.

Quello che distanzia quest’opera dai modelli eroici rinascimentali è però l’intensità emozionale che suscita, evidenziando l’interazione tra madre e figlio. La Madonna col Bambino e Susanna e i vecchioni sono opere differenti fra loro, ma alcuni particolari tradiscono la mano dell’artista: la postura, leggermente accovacciata, e le acconciature delle donne, talmente simili sino alla ciocca ribelle che segna la guancia (questo particolare diventerà uno dei segni distintivi dell’artista).

Un importante avvenimento che caratterizzò l’esistenza di Artemisia fu lo stupro che subì da parte del pittore Agostino Tassi, che allora lavorava assieme ad Orazio Gentileschi nella decorazione dell’affresco delle volte di Casino delle Muse di Palazzo Pallavicini Rospigliosi a Roma.

Orazio denunciò Tassi che, in quanto uomo già sposato, non rimediò alla violenza sulla figlia con un matrimonio riparatore. Del processo che ne seguì ci sono rimasti diversi documenti. Sorprendente è la crudezza del resoconto di Artemisia e i metodi inquisitori del tribunale. Infatti durante il processo subì l’umiliazione di numerose visite ginecologiche pubbliche e venne sottoposta alla tortura dello schiacciamento dei pollici, che dovevano indurla a rivelare la verità ma, nonostante non avesse mai modificato la sua prima versione dei fatti, non le credettero mai. In compenso ad Agostino Tassi venne data una lieve pena (gli atti di questo processo avranno una grande importanza sulla lettura in chiave femminista di Artemisia Gentileschi nella seconda metà del XX sec).

Terminato il processo Artemisia emerse artisticamente con un’identità indipendente, libera dagli insegnamenti del padre e più vicina all’immaginario di Caravaggio. La Giuditta che decapita Oloferne (1612-1613), conservata a Napoli, riassume bene questa sua fase artistica in cui le figure sono ancora oraziane, ma la scena si apre sui chiaroscuri del ‘teatro’ caravaggesco.

Per la vicinanza della realizzazione di quest’opera al processo contro Tassi, molti attribuiscono al dipinto una coloritura autobiografica.

Per quest’opera Gentileschi si rifà essenzialmente a due dipinti la Giuditta di Caravaggio e la Grande Giuditta di Rubens, ma mentre quest’ultimo riprende da Caravaggio solo l’immaginario sanguinoso e il realismo cruento, Artemisia ne accentua gli aspetti orrorifici, portandoli a estremi in seguito ineguagliati.

Giuditta è lo stereotipo della donna libera, vedova e ricca. Inoltre, mentre Caravaggio la rappresenta in modo distante senza una goccia di sangue a sporcarla, Artemisia la rende più matura, il suo gesto è molto violento e non trasmette in alcun modo esitazione. Anche le figure che circondano Giuditta sono differenti: la serva dipinta da Caravaggio è un’anziana che incita Giuditta a compiere il gesto senza però partecipare lei stessa all’azione, mentre Artemisia la rende una serva più giovane pronta a partecipare attivamente all’uccisione immobilizzando Oloferne, che da parte sua cerca di divincolarsi respingendo le due donne che lo tengono fermo.

Possiamo affermare che in quest’opera Artemisia è riuscita a superare Caravaggio anche nella resa della luce, tant’è che le braccia di Oloferne sembrano davvero essere sudate. Si riesce a distinguere chiaramente l’avvallamento della pelle a causa del pugnale e si vedono addirittura i riflessi della spada. Gentileschi si avvicina quasi alla perfezione dei fiamminghi e sceglie di trasmettere una sorta di solidarietà femminile.

Negli anni che seguirono Orazio combinò per Artemisia un matrimonio con Pierantonio Stiattesi, modesto artista fiorentino; insieme si trasferirono a Firenze dove Artemisia conobbe un modesto successo, venne anche accettata all’Accademia del Disegno: la prima donna a godere di tale privilegio!

Appartengono al periodo fiorentino: Conversione della Maddalena, Giuditta con la sua ancella e una seconda versione della Giuditta che decapita Oloferne.

Ma nonostante il suo successo Artemisia dovette tornare a Roma a causa di continue pressioni da parte dei creditori, ma anche qui non ricevette troppe commesse come avrebbe desiderato. Fu così che nel 1630 Artemisia si recò a Napoli, dove rimase fino alla fine dei suoi giorni. Fu proprio a Napoli che ebbe la possibilità di dipingere tele per una cattedrale dedicata a S.Gennaro.

Artemisia non è stata solo una grande pittrice, ma una donna straordinaria che ha combattuto ogni giorno della sua vita per dimostrare alla società di allora che nell’arte non conta a che sesso appartieni, ma solo la passione che ci metti. E’ stata umiliata e giudicata fino all’ultimo giorno della sua vita per un’ingiustizia che non meritava, ma invece di mollare tutto si è rialzata e attraverso i suoi quadri ancora oggi trasmette il suo messaggio e ci fa sentire la sua voce. Ecco cosa, o meglio chi ha rivoluzionato il XVII secolo: donne pronte a tutto per l’arte.

di Sara Pavesi

Bibliografia:

  • Women in the Fine Arts from the Seventh Century B.C to the Twentieth Century A.D, C.E Clement.

  • Artemisia, Anna Banti.

  • Women Painters of the World, W.Shaw Sparrow.

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