Categoria | Cultura

Guido Gozzano

Pubblicato il 28 settembre 2015 da redazione

Guido_Gozzano

Fine Milleottocento, anzi, metà. Milleottocentocinquanta. Un salotto altoborghese in una villa sul lago, in fuga dai fumi grigi, ma suggestivi, di una città baciata sulle guance da un timido sole di bella stagione. La libreria nell’angolo, ridondante di classici senza tempo, l’argento fresco di lucidatura nella credenza di inizio secolo e la cristalleria scintillante sulla consolle. Due ragazze, giovanissime e piene di confuse idee sulla vita, immerse in un giardino perfetto per passeggiare e fantasticare di sogni troppo freschi e teneri per avere l’ardire di pronunciare la parola amore. Più in là un altro sipario e un’altra storia tra i mobili di scena. Un uomo che ricorda un sé bambino e l’ingenuo primo amore per la disdicevole vicina, che a uno sguardo puro e libero è solo gentile e bella. Ancora un passo ed ecco l’avvocato di buon cuore, dottore che ha studiato, che cade di nascosto nell’inconsapevole trappola di una felicità paesana, con grandi occhi sereni.

 

Una primadonna fiera, mademoiselle Nostalgia.
Guido Gozzano, poeta crepuscolare, modella tra le parole scenografie perfette, stanze ben arredate di sentimenti veri e disarmanti nella loro realistica fierezza. Tante piccole camerette, tutte diverse e tutte ben curate, in cui una luce non manca mai. Che sia un lume sul pianoforte o una candela, un lampadario a gocce sul soffitto o un raggio di sole attraverso i vetri al mattino, l’aura irradiata dai suoi versi è sempre la stessa: un caldo e rassicurante bagliore di prepotente nostalgia, che increspa gli angoli delle fotografie dell’album e ingiallisce i contorni della carta fine dei libri sul comodino, calando il lettore in una dimensione sospesa tra il vecchio e il nuovo mondo, tra la potenza di un’ emozione presente e la dolcezza sospirata di un ricordo lontano.

Che ne sa di nostalgia un ragazzo? Forse niente. Eppure a volte il destino che ci è assegnato è capace di velare persino il tempo di un senso di relatività magico e imprevedibile. Il tempo di cui racconta Gozzano e le pieghe sovrapposte di giorni, mesi ed anni che emergono dalle sue opere sembrano inserirsi in una linea cronologica diversa da quella a cui siamo abituati. Non conta molto la stagione, l’ora o il giorno della settimana, le tappe che segnano il lieve confine tra il rimpianto e il ricordo sono scandite da due uniche coordinate in cui chiunque passi può inserire il discrimine che preferisce. Gozzano infatti ha un margine insuperabile che già in età giovanissima si presenta cupo a imporgli un senso del tempo accelerato rispetto ai suoi coetanei. La malattia, una tubercolosi incurabile, lo porta a dividere la sua vita tra ciò che è stato prima di ammalarsi e ciò che è stato dopo, tingendo ogni verso di un senso di rassegnato conforto e di struggente malinconia.

Guido Gozzano, colloqui con la poesia.

 

La vita a Torino e la Società della Cultura.

Guido nacque a Torino il 19 dicembre 1883, figlio di un ingegnere e di un’aspirante attrice. Ci è raccontato come uno studentello svogliato e disinteressato, arrivato a finire gli studi classici più per inerzia che per altro. Ennesima conferma di quanto la scuola e l’arte di scrivere spesso non c’entrino nulla l’una con l’altra. Guido non studiava volentieri, ma era il rampollo di una stimata famiglia altoborghese, dunque inciampare nell’università fu quasi inevitabile. Giurisprudenza, facoltà che gli fu utile principalmente a capire quanto la sua vera passione di vita fossero le lettere e quanto peso avesse nei suoi giorni il crescente interesse per quel ricettacolo affascinante e rumoroso di vivace contemporaneità letteraria che lo circondava. Crebbe così in Guido il mito di D’Annunzio e delle liriche cariche di decadentismo e disillusione per una natura che non era più sufficiente, a quell’epoca, a confortare lo spirito umano, tanto affannato da dolori e pene. La realtà non basta più agli uomini per trovare nuovo vigore; la scienza, la bellezza degli alberi e del cielo non sono più capaci di far respirare. S’insinua così il sogno, come culla in cui riposare le membra, e il ricordo, la traballante fiamma di un tenero bagliore di tempo sospeso tra presente e passato, diventa la medicina dei pensieri, uno sciroppo per la tosse, neanche troppo amaro da inghiottire.

la signorina felicità

Pochi anni e gli studi giuridici di Guido cedettero il passo ai corsi letterari tenuti da Arturo Graf e agli incontri ricchi di stimoli nuovi presso il circolo culturale La società della cultura, contesto felice di lettura e di scambio di opinioni in merito alle novità letterarie, rilette e commentate alla luce del positivismo. Per quanto Gozzano avesse una visione poco lusinghiera della cultura, intesa nel suo significato più netto, il contatto con i giovani intellettuali di quel circolo fu per lui un’occasione propizia per stimolare la sua già viva propensione per la scrittura, anche grazie all’avvicinamento del giovane alla poesia francese, che gli fu di ispirazione nei primi passi della sua carriera. Fu proprio in questo circolo che Guido Gozzano incontrò la donna amata, Amalia Guglielminetti, poetessa anch’ella – inevitabilmente – e modello di donna all’avanguardia, con cui iniziò una storia d’amore travagliata, che incise sottilmente sulla sua poetica, arricchendola di una leggera vena di tormento.

Amalia-Guglielminetti-e-Guido-Gozzano-sulla-Riviera-ligure-agosto-1914

Il primo risultato della crescita di Gozzano come autore risale al 1907, anno in cui venne pubblicata la sua prima opera, La via del rifugio, raccolta di poesie nelle quali la tradizione letteraria del passato e quell’omaggio eterno allo stimatissimo D’Annunzio ritornano in una chiave nuova, più semplice e facile da inserire nel racconto di emozioni piccole, in cui tutti potessero immedesimarsi.

 

La poetica del rimpianto

Di cosa tratta dunque Gozzano nelle sue poesie? Di vita, chiaramente. Una vita raccontata da un uomo su cui il peso della morte si affaccia sempre più minaccioso a fargli ombra. La tristezza, però, la paura ed il dolore non sono altro che un retrogusto, che arriva solo dopo la dolcezza del primo assaggio. Guido infatti sa dare respiro con le sue parole, inebriandoci di una tenerezza malinconica, ma fiera e luminosa. Ogni verso regala al lettore l’attenzione metodica di un artigiano attento di una volta, chino sul suo lavoro, a testa bassa e con gli occhiali sul naso. Gozzano è così, dunque, un artigiano delle emozioni. Prende parole bellissime, scelte in un cestino ricamato, in cui tanti poeti nobili e colti hanno pescato prima di lui, e le riporta in una dimensione quotidiana, che viene in questo modo nobilitata in una ricercata cornice che ne esalta la meraviglia. I temi dannunziani sono riletti e conditi di un’ironia quasi magica, capace di rispettare l’originale, senza farlo cadere nel ridicolo, ma di creare allo stesso tempo qualcosa di incredibilmente nuovo ed efficace.

Un bambino che morde una mela, una papera lieta, che non sa che verrà cucinata, il nipotino che piange la morte del cardellino e il rovere abbattuto che si ostina a non morire. La delizia di un’incoscienza ingenua, l’illusione di una vita eterna e la sorpresa di fronte alla natura che ciclicamente ritorna a far fiorire i rami ci vengono narrate dal poeta con la mesta consapevolezza di chi ha perduto questa leggerezza d’animo e non può, suo malgrado, tornare indietro dal brusco risveglio dell’età matura, in cui sapere di dover morire fa più male della morte stessa.

 

Guido Gozzano, colloqui con la poesia.

Primavera non è che s’avventuri un’altra volta e cinga di tripudi un’altra volta i rami seminudi, tutti raggiando questi cieli puri?

Madre Terra, sei tu che trasfiguri la vigilia dei giorni foschi e crudi? O Madre Terra buona, tu che illudi fino all’ultimo giorno i morituri!

Essi non piangono la sentenza amara. Domani si morrà. Che importa? Oggi sorride il colco tra le stoppie invalide…

Tutto muore con gioia (Impara! Impara!) E forse ancora s’apre contro i poggi l’ultimo fiore e l’ultima crisalide.

Torna poi una voce interiore, lontana, a chiamare ognuno di noi, dall’angolo più remoto dei pensieri. Quant’era bello il tempo lieto che ora non c’è più! La tenera gioia che ci sfugge nel momento presente torna a tormentare lo spirito quando l’età per viverla è passata e resta solo lo spazio per ricordare. Le parole si intrecciano rapide tessendo un vestito in cui Gozzano si sente perfettamente a proprio agio. Molte storie si rincorrono sulla linea di questa emozione ricorrente, coinvolgendo il lettore fino a renderlo personaggio tra i personaggi.

guido-gozzano

Ciaramella che a’verd’anni fu l’amica del Gran Re (era prode e più non c’è, era bella e ha settant’anni),

Ciaramella la comare con il fuso e la conocchia, se ne viene tutta spocchia sulla soglia per filare. (…) «Ciaramella come sei bionda! Torni in gioventù!» – e la canape la illude – «siamo del cinquantasei…

Ciaramella sta sicura che Gli piaci, Ciaramella!» Ella sogna… Crede quella la sua gran capellatura.

«Ecco i miei capelli d’oro! Vo’ spartirmeli in due bande: su recate le ghirlande, perché ormai lascio il lavoro.

Chi mi disse della fine? Il Passato… l’Avvenire… Oh! Li scialli Casimire, oh le gonne a crinoline!…

Dite al Re che delle belle la più bella…» E resta immota, resta prona sulla ruota. Già s’accendono le stelle.

nella notte fresca e oscura: la vecchietta sonnolenta dolcemente s’addormenta nella gran capellatura. (…)

Sono dunque i ricordi, i rimpianti, le bellezze passate a padroneggiare nelle fantasie di un poeta che fa correre i propri racconti nei prati della spensieratezza giovanile, in netto contrasto con il peso inesorabile di un presente impossibile da fuggire. Ed è questo il terreno in cui fioriscono in versi i germogli dell’amore e della femminilità di figure eteree, spogliate della malizia mondana. Le ragazze di Gozzano sono spesso prive della complessità frastagliata di sfumature delle donne a lui contemporanee. Ci parla di donnine giovani e piene di illusoria speranza, sgretolando come una statua di zucchero la figura della femme fatale dannunziana. Saranno dunque fanciulle dolci e remissive a suscitare piccoli amori, tenerissimi, nati in contesti dimessi e delicati. Emblematico in tal senso è l’avvocato in villeggiatura che, in un’ umile soffitta, scopre la goffa seduzione di Felicita, signorina di campagna lontana dalle dame eteree e raffinate della poesia ottocentesca, che con la semplicità del suo sguardo evoca il ricordo di un amore puro e soave.

Gozzano e gli amici del Circolo Marinetta

(…) Sei quasi brutta, priva di lusinga nelle tue vesti quasi campagnole, ma la tua faccia buona e casalinga, ma i bei capelli di color di sole, attorti in minutissime trecciuole, ti fanno un tipo di beltà fiamminga…

E rivedo la tua bocca vermiglia così larga nel ridere e nel bere, e il volto quadro, senza sopracciglia, tutto sparso d’efelidi leggiere e gli occhi fermi, l’iridi sincere azzurre d’un azzurro di stoviglia…

Tu m’hai amato. Nei begli occhi fermi rideva una blandizie femminina. Tu civettavi con sottili schermi, tu volevi piacermi, Signorina: e più d’ogni conquista cittadina mi lusingò quel tuo voler piacermi!

Appare dunque vana, agli occhi del poeta, la lusinga di un mondo travolto da sciocche ambizioni, che di fronte alla morte sono poco più che follie. Tanto vale vivere la bellezza della semplicità, l’amore sincero, scoperto nel modesto sfondo di un solaio rustico, per una donna qualunque, buona e genuina, tanto più meravigliosa quanto più ignara di tutto ciò che sanno i letterati.

(…) Unire la mia sorte alla tua sorte per sempre, nella casa centenaria! Ah! Con te, forse, piccola consorte vivace, trasparente come l’aria, rinnegherei la fede letteraria che fa la vita simile alla morte…

Oh! questa vita sterile, di sogno! Meglio la vita ruvida concreta del buon mercante inteso alla moneta, meglio andare sferzati dal bisogno, ma vivere di vita! Io mi vergogno, sì, mi vergogno d’essere un poeta! (…)

 

L’uomo oltre il poeta. Gozzano emerge quindi, tramite i suoi versi, come un uomo sognatore, che vive la realtà come schermo da cui trarre spunto per l’immaginazione. E’ un sofferente che sogna la felicità e si accontenta di ogni più piccolo appiglio per fantasticare. Le sue opere sono porte verso atmosfere d’altri tempi, in cui l’autore non cela al lettore una radicata passione per le descrizioni minuziose e la cura dei dettagli più piccoli. Tutto è costruito alla perfezione, ogni scena è scolpita chiaramente nella mente di chi legge, grazie ad un’attenzione maniacale alla resa di colori, profumi e sapori di un tempo caro che si vuole far rivivere. Con Gozzano dunque viaggiamo in un mondo fatto di gonne e crinoline, di filastrocche, di busti di marmo e scatole senza confetti. Le buone cose di pessimo gusto sono tutte in fila davanti al lettore che, come fa il poeta ne L’amica di nonna Speranza, rinasce con lui del Milleottocentocinquanta, perdendosi nell’incanto dei diciassette anni appena sfiorati, delle romanze da camera nel salottino e degli sguardi di due ragazze che sognano l’amore. Fantasia, questa parola basta a sintetizzare tutto. Gozzano gioca a ricreare giornate felici che mai più torneranno, costruendo favole su ricordi ballerini. E così, proprio appese al filo sottile della nostalgia, svolazzano al vento anche le considerazioni del poeta su se stesso e sulla propria vita: il rammarico di un uomo giovane che già soffre il peso dei primi venticinque anni e che accetta a malincuore la sua incapacità di amare il presente e di appassionarsi a ciò che è accessibile al suo tocco.

gozzano

(…) Il mio sogno è nutrito d’abbandono, di rimpianto. Non amo che le rose che non colsi. Non amo che le cose che potevano essere e non sono state… Vedo la case, ecco le rose del bel giardino di vent’anni or sono! (…)

Quel tempo che si accorcia di ora in ora si imprime nella vita di Guido come un motivo per accelerare il ritmo del proprio cammino. Un’avventura bella, senza arrendevole pena, che sboccia in un amore per la vita, rincorsa intorno al mondo fino all’ultimo momento, giocando a nascondino con una malattia beffarda. Morì a trentadue anni e quella paura di perdersi in una vecchiaia incentrata sul ricordo di una gioventù lieta lo ha raggirato al punto da farlo procedere tanto velocemente da non arrivare a viverla. Eppure, ancora oggi, dai versi di un uomo che ha concentrato in pochi anni energie per una vita intera, traspare discreta quella fretta scalpitante e quel desiderio inconfessabile di avere il tempo di godersi il calore di una felicità piena e non riconosciuta tale solo di fronte alle sue ceneri. Basterà dunque un po’ di speranza, comune a chi legge e a chi scrive, per vedere tra le parole il profilo di un giovanotto sdraiato sull’erba, che al suono cadenzato di una nenia da bambini si interroga sulla vita, giocando a riconoscere forme d’animali tra i profili delle nuvole.

di MariaElena Micali

 

 

 

 

 

 

 

 

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