Categoria | Politica-Economia

Gli arsenali nucleari oggi attivi

Pubblicato il 14 gennaio 2016 da redazione

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La minaccia dimenticata

A quasi trent’anni dalla fine della guerra fredda, sono ancora migliaia le armi atomiche operative, che tengono costantemente il mondo sull’orlo dell’autodistruzione.

Secondo il giudizio storico prevalente, la guerra fredda è finita nel 1989, con il crollo del blocco sovietico e la fine della divisione del mondo in due schieramenti contrapposti, due modelli economici e politici.

L’entusiasmo e l’ottimismo negli anni successivi furono rappresentati dai trattati internazionali di riduzione degli armamenti nucleari, sebbene limitati alle principali potenze atomiche, gli USA e l’ex URSS.

L’umanità fino a quel momento era vissuta sotto un’angosciante spada di Damocle, che il confronto indiretto tra le superpotenze, attraverso l’appoggio dato a singoli Paesi in guerra o fazioni interne a un Paese, degenerasse in uno scontro diretto, scatenando un conflitto termonucleare globale, per quanto conflitti lunghi e devastanti come quelli del Vietnam e dell’Afghanistan videro proprio l’impegno diretto sul campo di americani e russi in una situazione locale.

Per più volte ci si è avvicinati al punto di non ritorno, ad esempio come durante la crisi dei missili a Cuba nel 1962, o quella degli euromissili, la crisi che ebbe luogo tra il 1979 e il 1987 in seguito allo schieramento in Europa dei missili sovietici a medio raggio SS 20 e la politica di sfida dell’amministrazione Reagan che impose lo schieramento dei missili da crociera Tomahawk e dei missili balistici Pershing.

Un poco alla volta l’euforia venne dimenticata: il passaggio da un ordine mondiale bipolare a uno apertamente multipolare fece emergere apertamente l’incapacità dei governi nazionali di trovare accordi sui problemi globali.

Gli organismi internazionali, a partire dall’ONU, si trovarono svuotati del loro prestigio, del loro potere, pensati per un mondo che non c’era più.

L’opinione pubblica mondiale si è distratta, sopraffatta da un numero infinito di crisi locali, di doppi giochi, di interessi incrociati e accordi spesso inconfessabili, fino a dimenticarsi di quei costosissimi, diffusissimi e letali marchingegni, figli della tecnologia e dell’irrazionalità umana.

Per quanto ridotti nel numero dai trattati di disarmo, mancanza di risorse economiche, dall’obsolescenza tecnologica, gli ordigni nucleari restano nell’ombra, pronti a uscire dal loro falso sonno.

A rendere ancor più preoccupante la situazione, la ripresa della corsa agli armamenti dimostra che la bomba non ha perso affatto il suo fascino diabolico: anzi, sulla base dello sforzo scientifico e tecnologico con cui si stanno sviluppando nuove generazioni di armi nucleari a potenza controllata e limitata, stanno riaffacciandosi ipotesi piuttosto preoccupanti che ne prevedono l’uso anche non in risposta a attacchi subiti con armi convenzionali: equivale a dire demolire il principio della reazione di pari intensità, alla base dei trattati e delle regole di ingaggio generalmente diffuse e accettate.

Gli arsenali di oggi

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Geografia dei Paesi dotati di armi nucleari. Gli Stati colorati in rosso possiedono armi atomiche. Quelli colorati in arancione non ne possiedono, ma ospitano armi di altri Paesi. Quelli colorati in giallo hanno posseduto armi nucleari, ma le hanno eliminate. Quelli in blu non possiedono ordigni nucleari.

Gli Stati Uniti d’America sono stati il primo Paese a riuscire a dotarsi della bomba atomica, con il famoso progetto Manhattan, sperimentando il primo ordigno la mattina del 16 Luglio 1945 a Alamogordo, nel deserto del New Mexico.

Fu il primo anche a utilizzarla in guerra, con i bombardamenti delle città giapponesi di Hiroshima e Nagasaky, il 6 e il 9 Agosto 1945, che convinsero il Giappone alla resa e posero fine alla 2a Guerra Mondiale.

Furono anche i primi a mettere a punto la bomba termonucleare all’idrogeno, conociuta come Bomba H, il cui prototipo esplose nell’atollo di Eniwetok il 1 Novembre 1952 (test Ivy Mike in codice).

Sono stati anche i sottoscrittori dei principali trattati per la limitazione e la messa al bando di queste armi: a partire dal Partial Test Ban Treaty del 1963 che impedì la sperimentazione in atmosfera e lo storico Trattato di non Proliferazione Nucleare (TNP) entrato in vigore nel 1970, fino ai trattati Start, Sort e New START. Tuttavia non tutti furono poi ratificati, come il Comprehensive Test Ban Treaty, che ha messo fine a qualsiasi esperimento sia esso in atmosfera, sotterraneo o nello spazio esterno.

Attualmente l’arsenale nucleare statunitense, dopo aver raggiunto in picco di 32.000 testate nel 1966, attualmente viene stimato attorno ai 7.650 ordigni secondo dati del 2012, almeno seguendo gli impegni di riduzione progressiva degli ordigni assunti con il trattato New Start, firmato con la Russia l’8 Aprile 2010 a Praga.

Attualmente vengono indicate come attive e immediatamente disponibili 2.150 armi.

Circa 500 testate sono affidate all’areonautica americana (USAF) montate sui missili ICBM (missili intercontinentali balistici) con testate MIRV (testate multiple a singoli veicoli di rientro in atmosfera) e basate in silos corazzati terrestri. Altre 1.150 circa sono operative con la US Navy, sia per i missili balistici lanciabili da sottomarini nucleari, sia per i missili tattici Cruise, lanciabili anche da vascelli di superficie o da aerei.

Circa 300 sono bombe a caduta classica, trasportate da aerei.

A queste vanno aggiunte altre 200 armi termonucleari a caduta, ormai tutte appartenenti al solo modello B 61, che sono basate in Europa e custodite nelle basi militari di alcuni Paesi NATO, secondo la politica di Nuclear Sharing, adottata dalla NATO ormai da più di 50 anni.

Da un lato di fronte alle obiezioni riguardo a tali armi, il governo di Washington ha sempre dichiarato trattarsi di ordigni messi a disposizione dei Paesi alleati NATO per integrare la capacità di deterrenza dell’Alleanza Atlantica.

Secondo le ultime dichiarazioni, risalenti al 2008, i Paesi NATO che ospitano e hanno a disposizione le bombe da aereo B 61 sono il Belgio (10 – 20 bombe) custodite nei bunker della base di Kleine – Brogel, la Germania (anche qui tra le 10 e le 20 testate) nella base aerea di Bü chel, l’Olanda (sempre tra le 10 e le 20 testate) nella base di Volkel e in Turchia (50 – 90 ordigni, a seconda del momento storico) nella base di Adana – Incirlik.

Anche l’Italia ospita le bombe H tattiche, a Brescia – Ghedi si stima siano presenti circa una ventina di queste armi, ma aumentabili fino a 40, potenzialmente caricabili sui bombardieri supersonici Tornado IDS dell’Areonautica Militare Italiana (AMI). Nella grande base NATO di Aviano sarebbero depositate almeno altre 50 bombe, non a disposizione dell’areonautica italiana, ma direttamente in carico al 31 Fighter Wing, unità dell’aviazione americana dotata di caccia F 16 C/D.

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Aviogetto da attacco Panavia Tornado IDS dell’Areonautica Militare, appartenente al 6° Stormo, 154° Gruppo, basato a Ghedi (Brescia).

In passato armi, anche di altro modello e classe, sono stati custoditi in Grecia, ma anche fuori Europa, in Canada e in Corea del Sud.

Oltre ai problemi che tali armi hanno generato circa il loro effettivo peso nel conteggio totale delle armi nell’arsenale americano, da sempre sono state al centro di molte polemiche.

I Paesi che condividono il nuclear sharing (tra questi anche l’Italia) hanno aderito al trattato TNP di non proliferazione nucleare e hanno accettato di non sviluppare e non possedere armi nucleari. Per cui il loro ruolo di deterrenza nucleare tattica li pone in aperta contraddizione con gli impegni presi aderendo ai trattati internazionali di controllo e disarmo nucleare.

In realtà fonti governative e militari NATO rifiutano questa accusa, sottolineando che gli ordini restano completamente di proprietà americana. Vengono costantemente manutenzionati da unità specializzate dell’USAF e restano sotto il loro diretto controllo, codici di attivazione inclusi, anche se personale di terra e piloti delle forze aeree NATO si tengono addestrati costantemente al loro impiego.

Intanto, gli Stati Uniti hanno approvato il programma per l’aggiornamento di parte degli ordigni alla versione B61-12, con migliorata capacità di penetrazione in bunker corazzati e sistema di guida remota satellitare, che le renderà più simili a armi teleguidate.

E’ prevista la loro integrazione col sistema d’arma del nuovo caccia F 35 Lightning II in corso di acquisizione da parte degli USA e da parte di molti Paesi alleati.

L’Unione Sovietica aveva iniziato la ricerca sull’atomo militare già prima della Seconda Guerra Mondiale, ma l’aggressione nazista bloccò i piani di Stalin. Al termine del conflitto, delineandosi ormai il confronto con gli USA, ufficialmente divenuti potenza atomica, il governo sovietico diede impulso fortissimo al programma russo, anche grazie ai risultati della efficiente rete spionistica approntata dall’NKVD, la potente organizzazione di intelligence sovietica.

Già il 29 Agosto 1949 i sovietici facevano esplodere nel poligono di Semipalatinsk, nell’attuale Repubblica del Kazakhistan, il dispositivo RDS 1, una copia di Fat Man, la bomba al Plutonio che aveva annientato Nagasaky.

Il 12 Agosto 1953, con una rapidità sorprendente, Mosca annunciò di aver fatto detonare con successo la prima arma all’idrogeno russa. Da quel momento in poi la sfida con l’America e i suoi alleati portò a una sfrenata corsa agli armamenti nucleari per ogni tipo d’impiego, dalle mine sottomarine ai proiettili d’artiglieria, passando per i missili balistici e quelli antiaerei.

E’ russo anche il record della bomba all’idrogeno più potente mai realizzata, la RDS 37 o Tsar Bomb, testata sul poligono dell’isola di Novaja Zemlija il 30 Ottobre 1961, con una mostruosa potenza sviluppata di 57 megatoni.

Al momento dell’implosione dell’Unione Sovietica nel dicembre 1991 negli arsenali di Mosca si stima fossero presenti oltre 45.000 ordigni nucleari. Le difficoltà economiche dell’ex gigante russo e i trattati Start firmati con gli Stati Uniti portarono a una progressiva riduzione delle armi stoccate, con un programma sovvenzionato anche dagli USA e che consentì di ritrasferire in Russia tutti gli ordigni rimasti alle repubbliche ex sovietiche, come Ucraina, Bielorussia e Kazakhistan, prevenendo una pericolosissima dispersione di armi e materiali fissili nel mercato nero delle armi.

Secondo una valutazione sulla base del trattato New Start, nel 2012 l’arsenale ex sovietico e ora della Federazione Russa contava ancora 8.500 ordigni nucleari, di cui 1.720 pronti all’impiego. Nel 1996 anche la Russia ha sottoscritto il trattato CTBT e ha interrotto del tutto gli esperimenti nucleari.

Tuttavia la situazione di nuovo attrito generatasi con Washington per l’espansione della NATO verso est, per la ripresa del progetto di difesa antimissile assieme ai tentativi di modificare il trattato sulle armi antimissile ABM, hanno portato a all’annuncio da parte del presidente Vladimir Putin nei prossimi anni un programma di forti investimenti che riguarderanno l’ammodernamento tecnologico sia degli armamenti, sia dei vettori, il che rischia di far tornare il mondo a un clima di nuova guerra fredda e di riarmo nucleare.

Gli arsenali nucleari oggi

Paese Primo test Test più recente Test totali Testate stimate
Stati Uniti 1945 1992 1,054 7,650
Russia 1949 1990 715 8,420
Regno Unito 1952 1991 45 225
Francia 1960 1996 210 300
Cina 1964 1996 45 240
India 1974 1998 6 80-100
Pakistan 1998 1998 6 90-110
Corea del Nord 2006 2016 (a quanto sostiene) 4 Meno di 10
Israele Test non confermato Test non confermato Test non confermato 80
Iran Test non confermato Test non confermato Test non confermato 0

Fonte della notizia e dati: CNN

 

Il Regno Unito aveva già collaborato al progetto Manhattan degli alleati statunitensi, negli anni bui del secondo conflitto mondiale, tuttavia dal 1946 la paura dello spionaggio sovietico chiuse le porte dei centri di ricerca e dei poligoni atomici per i rappresentanti di Londra, così come per quelli di ogni altro Paese alleato.

Così il governo inglese avviò il proprio programma atomico, che portò alla prima esplosione atomica militare il 3 Ottobre 1952 (Operation Hurricane) nel piccolo arcipelago australiano di Montebello. La bomba a fusione inglese fu realizzata tra il 1956 e il 1958 (Operation Grapple) e il primo test venne effettuato l’8 Novembre 1957 sull’isola Christmas, appartenente all’arcipelago Malden. Dal 1958 il presidente americano Dwight Eisenhower tolse l’embargo alla collaborazione nucleare con i Paesi amici, per cui tecnici e militari inglesi vennero ammessi ai poligoni atomici del Nevada Test Site per poter effettuare le proprie sperimentazioni e condividere con gli americani i dati scientifici.

Durante i pericolosi anni della guerra fredda, l’Inghilterra realizzò oltre 1.100 ordigni atomici e termonucleari, da uso areonautico, terrestre e marino.

La Gran Bretagna risulta tra i negoziatori del trattato di messa al bando dei test nucleari, che ratificò nel 1996, difatti l’ultimo test nucleare inglese fu eseguito il 26 Novembre 1991 in territorio statunitense.

Dal 1998 ha iniziato un programma di smantellamento e razionalizzazione del proprio arsenale.

Attualmente l’Inghilterra possiede un numero stimato tra i 200 e i 160 ordigni termonucleari, operativi solo sui sottomarini atomici lanciamissili delle classi Vanguard e Trident, basati in Scozia.

 

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Un sottomarino lanciamissili nucleare classe Vanguard della Royal Navy in navigazione di addestramento nel mare del Nord.

 

La Francia è considerata oggi la terza potenza nucleare mondiale, dopo Stati Uniti e Russia, ma non ha iniziato il proprio programma di ricerca nucleare subito dopo la guerra, come avevano fatto altri Paesi del cosiddetto club nucleare.

Dopo la crisi del Canale di Suez del 1956 e visto lo scarso interesse americano per i problemi delle ex potenze coloniali, nel 1957 il presidente Renè Coty annunciò l’avvio del programma nucleare francese.

Si dovette attendere però l’elezione di Charles De Gaulle alla presidenza della Repubblica nel 1958 perchè la Francia potesse effettivamente varare il programma di ricerca nucleare e creare la Force de Frappe, la forza militare di rappresaglia nucleare.

Tuttavia, dato che scienziati francesi avevano partecipato alle ricerche del progetto Manhattan e che la teoria della fissione nucleare era ormai ben conosciuta, i francesi solo due anni dopo arrivarono al primo esperimento (Gerboise Blue in codice) nella base di Reggane, nel Sahara algerino, il 13 Febbraio 1960, recuperando rapidamente il tempo trascorso.

La prima esplosione della bomba francese all’idrogeno (Operation Canopus) avvenne nell’atollo del Pacifico di Fangataufa, il 24 Agosto 1968.

Sempre dallla fine degli anni 60 Parigi avrebbe messo a punto anche il progetto di un ordigno al neutrone, ma pare non averlo mai realizzato.

Per quanto non inserita nella NATO, la Francia di fatto opera da sempre nell’ambito occidentale, per cui anche le sue forze nucleari hanno sempre avuto una funzione difensiva e di deterrente verso quelle sovietiche.

Si valuta che dal 2012 la Francia disponga di circa 300 ordigni, 250 testate operative sui sottomarini nucleari lanciatori classe Le Triomphant e circa 50 per lancio da aerei, si ritiene per lo più armi stand-off, cioè capaci di di dirigersi sul bersaglio autonomamente dopo il lancio. L’Armee de l’Air è dotata di cacciabombardieri Mirage 2000N dedicati al compito, ma sta adattando allo scopo i nuovi velivoli Rafale, in corso di ingresso in servizio.

Attualmente la Francia non possiede più armi nucleari terrestri: infatti nel 1996, sotto la presidenza di Jacques Chirac, sono state tutte ritirate dal servizio e smantellate, in coincidenza della ratifica del trattato internazionale di messa al bando degli esperimenti nucleari e alla revisione dei compiti strategici delle forze francesi.

Comunque nello stesso periodo, l’ultima, contestatissima serie di sei test nucleari francese è stato effettuata nel sottosuolo dell’atollo di Mururoa, nella Polinesia francese, concludendosi il 27 gennaio 1996. Da quel momento tutti gli esperimenti francesi vengono effettuati con complessi sistemi di simulazione elettronica.

La Cina è entrata nell’ambito degli Stati dotati dell’arma di distruzione di massa grazie all’ assistenza ottenuta dai sovietici, subito dopo la fine del conflitto mondiale e la vittoria della rivoluzione comunista di Mao Ze Dong sui nazionalisti.

L’arretratezza del Paese in ogni campo e le enormi distruzioni subite durante l’occupazione giapponese rendevano vitale il trasferimento di competenze e tecnologie di ogni tipo.

Le differenze tra i punti di vista e le posizioni di potere fra i due grandi Paesi ben presto portarono a un ridimensionamento degli aiuti russi, specie nelle conoscenze in campo militare.

La dirigenza comunista cinese desiderava un ruolo autonomo in Asia e nel mondo per il Paese più popoloso al mondo, fuori dal cono d’ombra dei compagni russi.

Dalla fine degli anni 50 dovette sviluppare da sola il proprio programma nucleare, ma riuscì lo stesso a raggiungere lo status di potenza nucleare. Il 16 Ottobre 1964 il test 596 faceva esplodere nel poligono di Lop Nur la prima atomica a fissione cinese, mentre il 17 Giugno 1967, solo 32 mesi dopo, il test numero 6 assicurava a Pechino il possesso anche della tecnologia della fusione nucleare. Un balzo veramente impressionante.

La Cina è sempre stata assolutamente restia a rilasciare notizie precise sul proprio apparato militare, in particolare su quello strategico nucleare, ma si può considerare realistico che all’inizio del millennio fossero operative circa 550 testate, ridottesi successivamente a circa 240 negli anni successivi, per eliminazione di ordigni obsoleti.

Attualmente l’arsenale attivo è stimato fra le 100 e le 400 testate.

Un numero non molto elevato per una potenza di grande rilievo, ma la Cina è stato anche il primo stato, tra quelli che hanno ratificato il trattato di non proliferazione, a aver apertamente aderito alla politica del non primo uso, cioè ad impegnarsi a utilizzare l’arma nucleare solo per rispondere a un attacco con armi simili, per cui il suo arsenale limitato è proprorzionato a uno scopo di pura deterrenza.

In ogni caso, le autorità militari stanno cercando di ampliare la flotta sottomarina, attualmente limitata a un solo battello lanciamissili, di classe media e costruito con tecnologia importata dall’estero.

L’India ha iniziato lla costruzione del suo potere nucleare partendo da un reattore realizzato nel 1964 in collaborazione con il Canada, ma il Plutonio e l’Uranio arricchito necessario al suo programma bellico furono ottenuti attraverso tecnologie francesi. La spinta a creare una propria bomba venne dal timore dei propri potenti vicini, la Cina e il Pakistan.

Con quest’ultimo l’India vive praticamente in uno stato di guerra latente, interrotto da alcune fasi in cui i Paesi si sono affrontati in conflitti aperti. Il primo test indiano, Smiling Buddha, fu realizzato il 18 maggio 1974 e fu anche il primo effettuato dopo l’entrata in vigore del TNP.

L’esperimento causò vivaci proteste internazionali (specie del Canada che aveva fornito la tecnologia nucleare solo per scopi civili) e l’isolamento dell’India.

Un nuovo programma di sviluppo (operazione Shakti) portò tra l’11 e il 13 maggio 1998 a 5 nuovi test nucleari sotterranei nel poligono di Pokaran, tra cui almeno uno con un ordigno termonucleare all’Idrogeno.

Questa volta la reazione internazionale fu più concreta e portò al voto di una risoluzione da parte dell’ONU con cui si escludeva ogni ulteriore trasferimento di tecnologie utilizzabili per il programma nucleare. Solo nel 2005, a seguito di precisi accordi con gli Stati Uniti e con l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (AIEA) fu possibile per l’India riprendere a importare rilevanti quantità di materiali fissili e tecnologie nucleari, ma solo a scopo civile.

L’India ha abbracciato la politica del non primo uso, come la Cina, limitandosi a costituire un arsenale minimo di pura deterrenza.

Dal 2012 la sua consistenza è valutata tra le 80 e le 100 testate, sia lanciabili con missili balistici tattici, sia trasportabili da mezzi aerei. Non si conosce se siano mantenute tutte attive o in parte siano stoccate in riserva.

Vicino e nemico storico dell’India, il Pakistan sviluppò il proprio programma atomico dopo il 1972 in seguito alla sconfitta nella guerra del Bengala proprio contro l’India e per l’avvio del programma nucleare indiano.

Il Pakistan ha beneficiato dell’aiuto della Cina, che fornì materiali fissili e conoscenze tecniche agli scienziati pakistani.

Il primo test (Chagai 1) si svolse nei poligoni sotterranei del distretto delle Chagai Hills il 28 maggio 1998.

Nella stessa giornata altri quattro esperimenti vennero effettuati, più un’altra esplosione seguì il 30 Maggio nel poligono del deserto di Kharan.

Anche in questo caso le preoccupazioni internazionali portarono reazioni dure: gli Sati Uniti sospesero gli aiuti economici al Paese, che fu abbinato all’India nella risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU 1172, venendo escluso da ogni altro trasferimento di know – how in campo nucleare.

Il Pakistan ha firmato il trattato di parziale bando degli esperimenti nucleari del 1963, ma non quello successivo di totale bando, così come non ha ratificato il trattato di non proliferazione nucleare TNP.

Nel 2012 le testate in possesso del Pakistan erano tra le 90 e le 110, con vettori terrestri e aerei. Anche per il Pakistan, non si conosce con certezza il numero di testate mantenute in servizio attivo e quelle eventualmente in riserva.

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Carta geografica di Israele con l’indicazione degli impianti che si sospetta ospitino armi nucleari.

Sempre restando nella bollente regione sud – asiatica, Israele è da tempo considerato un Paese potenza nucleare, per quanto nessuno dei governi succedutisi a Tel Aviv abbia mai ammesso o smentito di possedere armi atomiche.

Sin dalla sua costituzione nel 1948, nella classe dirigente israeliana è stata presente l’opionione che il Paese per mettersi al sicuro dai vicini arabi, appoggiati militarmente dall’Unione Sovietica, dovesse dotarsi di uno strumento nucleare credibile.

Tuttavia non avrebbe trovato alcuna disponibilità a ottenere materiali e tecnologie nè nell’alleato statunitense, nè in altri Paesi potenzialmente amici, data proprio la situazione nell’area e questo frenò probabilmente le decisioni dei dirigenti israeliani.

Fu solo dopo la guerra dei sei giorni del 1967 che il programma nucleare israeliano ottenne il via libera dai vertici del Paese, convinti che ormai l’acquisizione della bomba fosse un obbiettivo assoluto per la sicurezza del Paese.

A Dimona, nel deserto del Negev, dal 1968 era operativo un reattore per usi civili, costruito con l’apporto di tecnologie francesi.

Partendo dalle conoscenze acquisite con questo reattore, attraverso la collaborazione con Paesi ricchi di uranio, come il Sud Africa e attraverso lo spionaggio industriale, Israele riuscì a costruire impianti per l’arricchimento del combustibile fissile.

Sotto pressione degli Stati Uniti, gli israeliani acconsentirono a una vista degli impianti a tecnici nucleari americani, ma quella fu l’ultima volta: ancora oggi Dimona (che nel frattempo pare essersi espansa enormemente attraverso edifici e strutture costruite nel sottosuolo) risulta uno dei luoghi più segreti e sorvegliati del pianeta.

Israele ha sfruttato abilmente la situazione geopolitica delicata dell’area e la necessità di non turbarne i precari equilibri, ottenendo l’allentamento della pressione da parte della comunità internazionale e al contempo mantenendo gli aiuti economici e militari.

Oggi Israele è un Paese scientificamente avanzato, ha sviluppato autonomamente tecnologie militari moderne, per cui possiede missili lanciabili da sottomarini o da aerei, equipaggiabili con testate nucleari. Il Ministero della Difesa ha acquistato in Germania 6 sottomarini a propulsione convenzionale classe Dolphin, che si ritiene siano stati modificati per lanciare missili in immersione. Attualmente sono in servizio 4 sottomarini, gli altri 2 devono ancora essere consegnati.

Secondo gli esperti Israele possiede anche l’arma termonucleare e il suo arsenale conta almeno 80 testate, per quanto le stime di alcuni esperti arrivino a considerare possibile che lo stockpile arrivi a 300/400 testate, dagli ordigni da demolizione a potenza limitata fino alle bombe H a fusione dalla potenza di decine di megatoni.

Le dichiarazioni sorprendenti rilasciate dall’ex tecnico nucleare Mordechai Vanunu al giornale inglese Sunday Times (prima che fosse riportato in Israele, processato in segreto e condannato a 18 anni di carcere in isolamento) sono state sufficienti a svelare del tutto il segreto nucleare israeliano, ma per lo meno hanno confermato che Israele è in possesso delle armi atomiche.

Israele curiosamente non sembra aver effettuato alcun test nucleare diretto, anche se pare aver collaborato ai test in altri Paesi.

Nel 1979 un satellite americano del tipo Vela registrò sull’oceano Atlantico meridionale un flash compatibile con un’esplosione nucleare, seguita come riconferma da rilevazioni in alcune parti dell’Australia dei picchi di alcuni radionuclidi tipicamente presenti dopo le esplosioni atomiche, come il Cesio 131.

L’ incidente Vela (come venne chiamato dalla stampa) portò a sospettare che il Sud Africa, isolato per la sua politica di segregazione razziale e circondato da stati appartenenti all’area di influenza sovietica, avesse proceduto a un proprio programma nucleare, in collaborazione con Israele. L’incidente però venne messo a tacere, classificandolo ufficialmente come un errore di registrazione dei sensori del satellite, piuttosto vecchio e in procinto di essere dismesso.

In realtà, sia lo spionaggio USA, sia quello dell’URSS avevano raccolto prove sul fatto che il Sud Africa avesse aperto un centro di ricerca a Vastrap, nel deserto del Kalahari, tra il 1974 e il 1977, con un poligono adatto alle sperimentazioni nucleari.

Entrambe le superpotenze fecero pressione sul governo Sudafricano, che accettò di smantellare gli impianti e chiudere il sito. Nel 1990 il governo rivelò di avere demolito 6 ordigni realizzati durante gli anni del programma atomico e nel 1991 anche il Sud Africa aderì al TNP e ai trattati di messa al bando degli espermenti nucleari.

A oggi il Sud Africa è l’unico Paese ad aver ammesso di aver costruito armi nucleari e ad avervi rinunciato spontaneamente.

Lo scorso 8 Gennaio 2016 la Corea del Nord ha annunciato il suo quarto test nucleare assoluto e il primo di un’arma termonucleare all’idrogeno.

Anche se le rilevazioni degli esperti internazionali hanno appurato ch quasi certamente non si è trattato di una bomba H, il nuovo esperimento di Pyongyang riporta in alto la tensione nell’area del sud est Pacifico.

Il programma nucleare nordcoreano è nato con l’aiuto sovietico nel corso degli anni 60, portando alla realizzazione di un reattore e di un centro ricerche a Yongbyong.

Dopo l’allontanamento politico dal vecchio amico Russo, il governo del Paese venne sottoposto a una forte pressione, per cui accettò di sottoscrivere il trattato di non proliferazione, ratificato nel 1985, firmando di seguito nel 1991 un trattato con la Corea del Sud per mettere al bando qualsiasi programma di produzione di armi atomiche nella penisola coreana.

Ma nel 1993 le autorità nordcoreane impedirono agli ispettori dell’AIEA di accedere a alcuni siti, sospettati di esser stati inclusi nel programma militare.

Le proteste della comunità internazionale portarono il governo a minacciare l’uscita dal TNP. Venne sottoscritto nel 1994 un nuovo accordo con gli USA che prevedeva la rinuncia completa al programma atomico in cambio di combustibili e materie prime.

La Corea del Nord è rimasta isolata nel panorama internazionale: governata da una dittatura stalinista oltranzista, ormai fuori dal tempo, si dibatte nella penuria cronica di materie prime e di petrolio, una volta garantiti dall’amico sovietico.

La sua ostinazione nel perseguire il programma nucleare è stata spesso interpretata come un rischioso tentativo di ricattare la comunità internazionale, per ottenere le risorse di cui disperatamente ha bisogno e che nemmeno il nuovo protettore cinese ha mai concesso al suo scomodo vicino.

Il governo nordcoreano infatti ha continuato in segreto il suo programma, condotto in collaborazione con il Pakistan, sia nel campo degli ordigni che dei vettori missilistici.

Nel 2002 la CIA rivelò al mondo l’esistenza di questa collaborazione, in violazione degli accordi internazionali.

La Corea del Nord per tutta risposta nel 2003 si ritirò dal TNP e il 9 Ottobre 2006 annunciò il primo test nucleare sotterraneo nordcoerano.

Secondo le analisi delle onde sismiche generate dall’esperimento, quasi certamente si trattò di un insuccesso, ma questo non rese meno preoccupante la situazione, con Pyonyang che riprendeva a minacciare il Giappone in nome dei crimini commessi durante la Seconda Guerra Mondiale assieme al ripetersi inquietante di incidenti militari con le forze armate della Corea del Sud.

Nel 2009 e nel 2013 la Corea del Nord ha annunciato di aver effettuato altri 2 esperimenti nucleari, anch’essi sicuramente con armi a fissione di bassa potenza.

Alla fine del 2012 l’arsenale nordcoerano veniva valutato intorno alle 10 testate di vecchia concezione, non superiori ai 10 chilotoni in potenza, comunque sufficienti a rappresentare una minaccia per gli Stati vicini (e non solo) qualora Pyongyang dovesse riuscire a costruire un missile lanciatore affidabile.

di Davide Migliore

 

Linkografia:

http://www.wikiwand.com/it/Stati_con_armi_nucleari

http://www.panorama.it/news/oltrefrontiera/testate-nucleari-nel-mondo/

http://www.guerrenelmondo.it/?page=static1364948018

http://www.internazionale.it/opinione/gwynne-dyer/2015/11/11/armi-atomiche-disarmo

http://www.unita.tv/focus/incubo-atomico-il-pianeta-minacciato-da-16mila-testate/

http://www.secoloditalia.it/2015/12/la-corea-comunista-minaccia-abbiamo-la-bomba-allidrogeno/

http://www.tgcom24.mediaset.it/mondo/articoli/480663/agli-usa-5113-testate-nucleari.shtml

http://www.corriere.it/esteri/15_maggio_10/usa-cina-russia-verita-armi-08d55620-f6ec-11e4-bdc6-f010dce69e19.shtml

http://www.wikiwand.com/it/Accordi_START

http://massyb.myblog.it/2013/07/07/bombe-termonucleari-italiane-b61/

http://www.sopravvivere.net/tag/paesi-membri-del-club-dellatomo/

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