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Dietro gli sport di contatto il pericolo delle malattie cerebrali.

Pubblicato il 15 maggio 2017 da redazione

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Ricercatori e scienziati hanno fornito un’immagine più chiara dei reali pericoli delle malattie cerebrali progressive dovute a ripetute lesioni della testa nello sport, pericoli che devono essere affrontati con una certa urgenza.

Il torneo di rugby europeo Sei Nazioni continua a essere l’evento sportivo più seguito al mondo.

Tuttavia, diverse gravi lesioni alla testa hanno di recente rovinato l’immagine di uno sport per i più vecchi appassionati noto come quello dei gentiluomini e a sottolineare i seri e possibili pericoli collegamenti al rugby, in termini di malattie degenerative del cervello. In base ai dati della Rugby Football Union, la commozione cerebrale è la lesione più comune in questi tipi di gioco, con 5,1 casi per ogni mille ore di rugby giocato, e il peso medio dei giocatori oggi è di 7,2 kg superiore a quello dei giocatori di 20 anni fa. Questo significa che la forza dei loro scontri può essere equivalente a quella che il corpo subisce in un incidente automobilistico!

La UEFA, l’organo di governo del calcio in Europa, ha commissionato un progetto di ricerca lo scorso febbraio per esaminare i collegamenti tra demenza e pratica del gioco del calcio.

In verità, fino al 2002 questi pericoli non erano mai stati realmente discussi o compresi del tutto, fino a quando un neuropatologo di nome Bennet Omalu esaminò con maggiore attenzione il cervello della defunta stella del football americano Mike Webster. Le sue scoperte continuano a preoccupare e hanno portato Will Smith a recitare nel film “Zona d’ombra” per porre in evidenza la scoperta di sintomi simili a quelli dell’Alzheimer nei cervelli di ex giocatori della National Football League (NFL). Il dott. Omalu ha scoperto che Webster soffriva di encefalopatia traumatica cronica (CTE), una malattia degenerativa del cervello che soffoca il cervello, solitamente associata ai pugili. Da allora la CTE è stata collegata alla perdita di memoria, depressione e demenza e individuata nei cervelli di atleti di molti altri sport di contatto.

Di conseguenza, le autorità sportive stanno ora cercando di recuperare velocemente il tempo ormai perso. Così nel settembre del 2016, la NFL del footbal americano ha annunciato che avrebbe speso 100 milioni di dollari in ricerca, sia medica sia ingegneristica, per aumentare la protezione dei giocatori, dopo aver speso un miliardo di dollari per risarcire gli ex giocatori che avevano subito lesioni cerebrali.

Nel Regno Unito, un progetto di ricerca sta monitorando le lesioni alla testa di circa 50 giocatori del Saracens Rugby Club cercando nel loro sangue, urina e saliva dei biomarcatori che rilevino eventuali cambiamenti chimici che si presentano in caso di lesioni al cervello. Per capire perché una lesione che si ripete più volte all’età di 30 anni possa portare a una malattia del cervello quando si arriva ad avere 50 anni, occorre raccogliere molti dati sistemici e seguire, quindi, i giocatori più da vicino.

I ricercatori della UCL e dell’Università di Cardiff, il cui studio è stato pubblicato nel marzo del 2017 sulla rivista “Acta Neuropathologica”, hanno anche esaminato i cervelli di sei calciatori che avevano giocato per 26 anni. I risultati hanno rilevato che tutti e sei avevano in seguito sviluppato demenza intorno ai 60 anni di età e dagli esami “post mortem” risultavano tracce di CTE in ben quattro casi, prova inequivocabile del fatto che lesioni precedenti alla testa avevano presumibilmente determinato lo sviluppo della demenza.

Dallo studio di ricerca di Patria Hume su centinaia di giocatori di rugby e altri atleti di sport non di contatto emerge che “… è da irresponsabile ormai affermare che non ci siano problemi a lungo termine per la salute del cervello.”

Le prove purtroppo sono ancora lontane dall’essere evidenti, e i ricercatori continuano a formulare ipotesi sui fattori che portano alle lesioni del cervello, sollecitando al tempo stesso il bisogno di ulteriori ricerche.

Ciò che risulta tuttavia chiaro è che i sintomi della CTE sono tremendi per chi ne è colpito e che servono nuove linee guida per offrire ai giocatori maggiore protezione e maggiore consapevolezza dei possibili pericoli. Anche i bambini dovrebbero essere immediatamente protetti, almeno fino a quando queste questioni non saranno state ben chiarite.

Verosimilmente sport come il rugby potrebbero un giorno scomparire se gli atleti continuano a mettere a rischio il loro cervello e le autorità tergiversano e prendono tempo, perchè si sa “the show must go on!”

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