Responsabilizzarci come consumatori o rinunciare ai consumi? Così si interroga Serge Latouche nel suo saggio sulla Decrescita felice. La sua ricetta consiste nel fare di più e meglio con meno.
Lo smantellamento dello stato assistenziale e i conseguenti tagli di bilancio danno luogo a una nuova gestione pubblica che deriva dalla razionalizzazione delle scelte di bilancio. Si punta a ottenere migliori risultati di politica sociale spendendo di meno, attraverso l’utilizzazione di associazioni (o del volontariato) che entrano in concorrenza sul mercato delle sovvenzioni.
Lo spirito di decrescita è agli antipodi di questa ricerca ossessiva di economie di ogni genere e dell’ideologia neoliberista che ne è il fondamento, con le sue parole chiave: efficienza, prestazioni, eccellenza, redditività a breve termine, riduzione dei costi, flessibilità, ritorno sull’investimento ecc., il cui risultato è la distruzione del tessuto sociale.
Si tratta sicuramente di consumare meno le risorse naturali limitate del pianeta, ma per produrre un di più extraeconomico: dunque un obiettivo diametralmente opposto a quello dei tecnocrati.
Bisogna arrivare al razionamento? Alcuni considerano seriamente questa ipotesi per quanto riguarda l’energia e le emissioni di gas a effetto serra, anche se il razionamento evoca i fantasmi dell’economia di guerra. Ma possiamo senz’altro dire che ingaggiamo una battaglia per la sopravvivenza dell’umanità.
Lester Brown ricorda che nel 1942, di fronte all’emergenza bellica, l’economia americana è stata capace di convertire dall’oggi al domani la produzione di automobili private in produzione di carri d’assalto. Una sfida simile sarebbe per esempio quella di convertire l’industria automobilistica nella produzione di microgeneratori.
Un paese democratico, il Regno Unito, in condizioni di emergenza è stato in grado di accettare un programma di lacrime e sangue. La riconversione economica delle nostre società promette non per domani, ma già da oggi, maggiore gioia di vivere: un’alimentazione più sana, più tempo libero e più convivialità.
In altri termini, il ritorno a un’impronta ecologica corretta (un solo pianeta), che richiede una riduzione del 75% dei prelievi di risorse naturali, sarebbe realizzabile con una diminuzione del consumo finale del 50% e un aumento incommensurabile della qualità della vita.
Certo è, che questo tipo di economia si adatta molto bene a tre quarti del pianeta, è vero non funziona per noi occidentali, drogati di efficientismo allo spasimo, ma forse una riflessione andrebbe fatta proprio solo per questo.
la Redazione
Sitografia
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