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Al Capone, Lucky Luciano e la crisi del ’29

Pubblicato il 28 marzo 2015 da redazione

The gangsters : la faccia oscura del sogno americano.

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Agenti federali distruggono gli alcolici sequestrati.

Nella seconda metà degli anni ’20 del secolo scorso gli Stati Uniti d’America erano il paese con la più forte crescita di tutto il mondo: è stata considerata l’età dell’oro dell’economia americana, un momento in cui il credo della libera impresa e del capitalismo più puro sembravano guidare l’intera nazione verso un destino inevitabile di prosperità.

È un’euforia di ottimismo collettiva, che ipnotizzava e che impediva di vedere il baratro verso cui correva l’America, veloce come le sue nuove e potenti automobili.

In realtà, il paradiso in terra nel giro di poche ore lasciò il posto al peggiore degli inferni, il risveglio della società americana dalla sbornia della ricchezza facile non ci fu, perché l’America passò direttamente al più orribile e lungo dei suoi incubi, trascinandosi dietro la gran parte dei paesi industrializzati.

Ci vorranno un cambio deciso di politica economica, dieci anni di fatica, sacrifici e un’altra guerra mondiale perché gli U.S.A. si rimettano in piedi.

Di quegli anni, una cosa resterà in eredità all’America: la nascita del crimine organizzato, che diventerà uno dei fenomeni più controversi e oscuri dell’anima americana.

Ma per comprendere bene come sia nata e cresciuta la mafia americana, occorre fare un salto indietro nel passato.

Il gigante dai piedi d’argilla

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Crollo della Borsa di Vienna. 1929.

Nessuno, nemmeno il più inguaribile dei pessimisti, in quel fatidico 29 ottobre del 1929 avrebbe potuto immaginare le conseguenze degli avvenimenti di quei giorni nella storia successiva, non solo degli Stati Uniti, ma del mondo intero.

A pochi decenni dalla fine della guerra civile nel 1865, gli Stati Uniti avevano conosciuto un periodo di crescita economica.

L’invenzione del motore a scoppio e lo sfruttamento dell’energia petrolifera, nate in Europa, trovarono proprio oltre l’Atlantico una terra di grande sviluppo: si apriva la seconda era della rivoluzione industriale.

La produzione agricola stava conoscendo un’espansione senza precedenti.

Gli Stati Uniti erano già diventati il più grande esportatore di cereali, nonostante una forte flessione nelle esportazioni fra il 1873 e il 1895, dovuta ai dazi doganali innalzati da molti paesi a protezione delle produzioni interne e all’impulso alle conquiste coloniali dei paesi europei.

Ma è alla fine del primo conflitto mondiale che l’America emerse pienamente come nazione di riferimento dell’economia e del commercio.

Tuttavia, dopo la vittoria il popolo americano preferì tornare al suo aureo isolamento, lontano dalle questioni del vecchio continente.

Il presidente democratico Woodrow Wilson e il suo sogno di una Società delle Nazioni che cambiasse i rapporti fra gli stati ne uscirono sconfitti, aprendo la strada a livello interno a una serie di mandati presidenziali al Partito Repubblicano.

Vennero varate politiche a sostegno degli investimenti, ridotte le tasse dirette ai ceti più ricchi e spostato il prelievo fiscale sul prezzo di beni e servizi.

Il potere di azione dei sindacati venne sempre più limitato, in parallelo lo Stato rinunciò a interventi per regolare i settori bancario e finanziario, favorendo le grandi concentrazioni di gruppi industriali ed economici.

Gli effetti non tardarono ad arrivare: nel 1928 la produzione industriale raggiunse un incremento del 64% rispetto all’inizio del decennio e la produzione di beni di massa diede il via ad una società di consumatori .

Henry Ford e la Model T.

Il trionfo della teorizzazione della catena di montaggio consentì a Henry Ford di produrre il suo Model T, la prima auto veramente popolare: nel 1928 ne erano già stati prodotti 15 milioni di esemplari e nel 1926 la versione più economica in listino costava solo 285 dollari.

Nel 1929 il rapporto era arrivato a una automobile ogni cinque abitanti, zone rurali comprese.

Lo sviluppo del settore auto portò con sé anche la crescita di quello siderurgico, chimico, minerario, edile, elettrico.

Nelle case degli americani erano presenti comunemente ventilatori, tostapane, frullatori, forni elettrici, cucine a gas, le prime lavatrici e i ‘refrigeratori’, gli antenati del frigorifero: mezzi di emancipazione per la donna, che diventava finalmente padrona della propria vita.

Nel 1922 erano già in 400.000 a possedere una radio, il che permise alla pubblicità di arrivare capillarmente in ogni angolo dell’unione.

Del resto a fine decennio il 63% dei cittadini statunitensi aveva elettricità e acqua corrente in casa.

Personaggi come Andrew Carnegie o John Davison Rockfeller incarnavano la figura del self made man, l’uomo che veniva dalla strada e che era stato in grado di diventare miliardario grazie al lavoro e al talento personali.

Più ancora che i grandi capitani d’industria, erano le figure dei finanzieri e dei banchieri, che affascinavano l’immaginario collettivo.

La borsa di New York, Wall Street, divenne il sinonimo di ricchezza facile.

Il boom del mercato azionario era stato generato dalla nascita di una miriade di imprese desiderose di farsi quotare e accedere così ai grandi capitali di risparmio.

A sua volta questo aveva portato un gran numero di persone a diventare agenti azionari, a fondare compagnie di cambio e ad accumulare in breve tempo enormi fortune.

Proprio la mancanza di regolamentazioni delle attività finanziarie aveva favorito il fenomeno delle holding, le società che prosperavano comprando e vendendo pacchetti azionari o certificati di credito dalle grandi banche.

Un numero spropositato di americani giocavano in borsa per spirito emulativo di quei grandi speculatori.

Droghieri, farmacisti, idraulici, impiegati, massaie, non c’era differenza, tutti abbagliati dal miraggio di fare soldi presto, senza fatica.

La possibilità di comprare col sistema del margin, cioè anticipando solo il 10% del prezzo di acquisto, fu tra le cause della grande bolla speculativa.

Il fine di comprare azioni non era più quello di assicurarsi dividendi, ma di continuare ad aumentare il proprio capitale, attraverso continui scambi.

Il ticker, la piccola telescrivente posta su una basetta di legno e chiusa in una bolla di vetro, che col suo ticchettio continuo continuava a stampare su nastri di carta le quotazioni della borsa di New York e delle altre principali borse mondiali, divenne una presenza comune tra le mura domestiche.

Erano gli anni del jazz, del foxtrot, delle feste sfrenate, dove liberare la voglia di vita dopo la paura della guerra, dove festeggiare un destino inarrestabile di benessere.

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Ticker, la piccola telescrivente domestica.

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Il Grande Gatsby.

Francis Scott Fitzgerald nel suo celebre romanzo ‘il grande Gatsby’ del 1922 aveva fatto un grande affresco di quella società, con la sua fame di benessere e la sua decadenza morale, quasi prevedendo il grande salto nel buio che l’aspettava di là a pochi anni…

Eppure, in un discorso pubblico del 1926, il presidente Calvin Coolidge dichiarò che la battaglia contro la povertà era quasi vinta.

Il 24 ottobre del 1929 ed il successivo 29 ottobre, da sempre conosciuto come il giovedì nero della borsa americana, il sogno si frantumò.

Per anni, finanzieri delle grandi holding, banchieri e broker avevano abilmente giocato per attirare investitori, gonfiando artificialmente il valore delle azioni delle aziende che dovevano piazzare sul mercato, attraverso informazioni sempre più ottimistiche, acquisti o vendite mirate di titoli che creassero un effetto emulativo.

In realtà già da tempo l’economia reale non teneva più dietro a questo vertiginoso rialzo delle valutazioni finanziarie.

Le classi lavoratrici più basse, senza specializzazioni particolari, erano rimaste tagliate fuori dalla redistribuzione del reddito, subivano le conseguenze di una politica governativa antisindacale da un lato (il lavoro minorile era ancora una realtà radicata) e della mancanza di sostegni e investimenti statali dall’altro.

Non solo non potevano permettersi i beni durevoli che acquistava la classe media, ma sempre meno potevano permettersi quelli di prima necessità, come vestiario, scarpe, cure mediche, mentre l’affitto degli alloggi divenne la prima spesa per le famiglie.

Anche le vendite di beni durevoli stavano diminuendo, dato che le case erano già piene di prodotti e le strade di automezzi.

I magazzini si riempivano di vestiti, generi alimentari, elettrodomestici, mobili, prodotti che il mercato non riusciva più ad assorbire, un effetto di superproduzione che tagliò in poco tempo pesantemente i profitti delle imprese produttrici.

Quindi gli acquisti di materie prime e servizi dall’indotto crollarono, i salari dei lavoratori di quei settori scesero, facendo ulteriormente crescere la crisi di liquidità generale.

Quando in borsa si incominciò a capire che il valore reale delle aziende era ben lontano da quello rappresentato dalle loro azioni, scoppiò letteralmente il panico.

Le ondate di vendite incontrollate generavano altrettanto panico, che si propagava come un’onda inarrestabile.

Banchieri, finanzieri, agenti di cambio, tutti si ritrovarono completamente rovinati, fu impossibile per loro onorare i debiti.

A loro volta, i piccoli risparmiatori della classe media corsero alle banche per ritirare il denaro, prima che il crollo rendesse loro impossibile ottenerlo.

Nel giro di poche ore centinaia di imprese fallirono, licenziando i propri lavoratori.

Vi furono centinaia di suicidi, sia tra i grandi magnati che si lanciavano dai palazzi dov’erano assediati dai creditori, sia tra madri e padri di famiglia, che si erano giocati tutto.

La febbre si propagò per tutto il paese, portata dal ticchettio delle telescriventi.

La reazione governativa non fu pronta e sopratutto non fu adatta, perché continuava a non essere compresa la gravità del problema: la neonata banca centrale, la Fedearl Reserve, assieme alle grandi banche di investimento si svenarono comprando tonnellate di azioni e pompando miliardi di dollari nel sistema.

Purtroppo era già troppo tardi per sostenere il sistema che collassava su se stesso.

La testardaggine del governo federale a tenere agganciato il valore del dollaro a quello dell’oro (la Gran Bretagna si liberò di questo sistema nel 1931), assieme al rifiuto categorico di politiche di svalutazione monetaria vanificarono ogni intervento.

mense 1929

Una mensa nel periodo della Grande Depressione del 1929.

L’incendio era già divampato: nel giro di due anni le file di famiglie davanti alle mense pubbliche per un piatto di minestra o davanti ai dormitori delle associazioni di carità divennero lo spettacolo più comune nelle grandi città americane, mentre nelle periferie crescevano città parallele, baraccopoli fatte di legno e rifiuti.

Nelle campagne non andò meglio: masse di contadini rimasti senza acquirenti per le proprie derrate avevano perso terra e casa pignorati dalle banche.

Vagavano per gli States, cercando un impiego o lavorando come braccianti stagionali per i grandi latifondisti.

Oppressi e sfruttati, la loro tragedia venne descritta nelle pagine del libro Furore di John Steinbeck e divenne un’icona del cinema con l’omonima pellicola girata dal grande regista John Ford.

I disoccupati nel 1932 solo negli Stati Uniti avevano raggiunto i 12 milioni.

L’America per molti anni sembro vagare dentro se stessa: la crisi economica in realtà aveva creato un fenomeno collettivo, una depressione di massa, un senso di impotenza che bloccava ogni energia del Paese.

Anche il deciso cambio di rotta che l’America volle con l’elezione del presidente democratico Franklin Delano Roosevelt (che riceverà quattro mandati elettivi consecutivi, caso unico nella storia americana), con le profonde riforme sociali e gli investimenti pubblici, il famoso new deal, non riuscì mai veramente a far riprendere il cammino all’economia americana.

Ancora nel 1936 un americano su tre non mangiava a sufficienza.

Solo dopo la fine del secondo conflitto mondiale gli Stati Uniti poterono ricominciare a crescere e lasciarsi la sofferenza alle spalle, accettando finalmente un ruolo di preminenza economica e politica per i paesi a sistema capitalistico.

Certamente la grande fame portò con sé, inevitabilmente, disordini sociali e una crescente criminalità.

Già, il crimine: al di là della microcriminalità, legata sopratutto alla sopravvivenza quotidiana, ma la grande criminalità che diventa organizzata, le gang tanto potenti da esser capaci di influenzare la politica e l’economia, quando nascono?

In realtà, il fenomeno della criminalità che si organizza attorno a figure di spicco e che diventano esse stesse “aziende” di grandi profitti, era già presenti nel momento del crack del 1929.

Certamente tali organizzazioni erano cresciute sfruttando anch’esse il grande boom economico, nei campi che sin dall’inizio del tempo sono sempre stati congeniali: contrabbando, prostituzione, estorsione, gioco d’azzardo.

Altrettanto sicuramente i personaggi più accorti avevano intuito e ben sfruttato la mancanza di controlli legali o di remore morali del grande mercato finanziario, trovandovi negli anni ’20 un sistema non solo per riciclare proventi sporchi, ma anche per moltiplicare le proprie fortune, alla luce del sole.

Chi non ricorda nel “Grande Gatsby”, la figura del banchiere, in realtà un malvivente di alto livello, con cui il protagonista si incontra spesso, così come i gangsters che partecipano normalmente alle sue grandiose feste?

Il grande crollo certamente colpì anche gli interessi del capitale criminale, ma non le annientò come fece per il sistema economico legale. Anzi, dalla crisi trasse ulteriore profitto.

Sembrerebbe un fenomeno naturale, che nei momenti di recessione economica e crisi della struttura Stato, prosperino proprio quelle forze che vivono ai margini della legge, come un virus in un corpo indebolito.

Ma le ragioni della crescita e del radicamento delle mafie nella società americana ha origini ben più lontane.

The Crime Inc. : birra, mitra e mazzette

In realtà, due grandi fenomeni favorirono la nascita delle grandi concentrazioni criminali: xenofobia e moralismo.

Nel corso dell’800, specialmente verso la fine del secolo, il continente americano fu oggetto di una nuova grande ondata migratoria dall’Europa.

Grandi masse di persone fuggivano da un continente in cui dopo i rivolgimenti napoleonici, la situazione economica e politica non garantiva da mangiare per tutti.

Nemmeno la nascita dell’industria moderna, ne l’espansione coloniale di molti stati europei, riuscì ad assorbire la spinta della fame e delle ingiustizie sociali.

Si imbarcavano sui piroscafi masse di popolazioni stremate provenienti da paesi arretrati, come l’Italia, ma anche l’Inghilterra, l’Irlanda piegata dalle carestie, la Francia o la neonata Germania, sospinte dal miraggio di un eldorado dove trovavano risposte le speranze di tutti.

Le grandi masse di persone che arrivavano si concentravano nelle periferie più povere, alla ricerca di lavoro e abitazione.

Si diffuse, così, in quegli anni un movimento sempre più apertamente razzista che sosteneva che l’America dovesse rimanere quella della tradizione, bianca, protestante e legata ai valori del mondo rurale, insomma quella dei primi coloni anglosassoni.

La cultura delle popolazioni, specie cattoliche, veniva ritenuta estranea all’America, portatrice di corruzione e di criminalità. Gli stranieri erano accusati di portare via il lavoro a chi americano lo era da generazioni.

Queste rivendicazioni, dette in una terra nata dall’emigrazione e sulla cui moneta è scritto “e pluribus unum”, dalla molteplicità l’unità,  suonano strane. Ma da che mondo è mondo, chi ha raggiunto un vantaggio difficilmente ricorda come lo ha ottenuto.

Sicuramente nei quartieri dove si ammassavano i nuovi venuti, le necessità crearono fenomeni di tipo criminale. Spesso le bande, infatti, avevano una comune provenienza etnica: italiani, irlandesi, ebrei provenienti dall’est europeo, erano tra le popolazioni più discriminate, e per questo tra loro si crearono sodalizi criminali che si imposero velocemente sul mercato delle attività illegali.

Del resto era tutta gente abituata a lottare per sopravvivere.

Le popolazioni di nuova immigrazione vennero anche viste come portatrici di una nuova “peste”, le ideologie socialiste, anticapitalistiche e l’anarchismo di fine 800, si stavano infatti diffondendo rapidamente in tutta Europa .

Ai movimenti xenofobi si affiancarono quelli puritani che volevano la proibizione dell’alcool, visto come portatore di malattie, generatore del vizio morale e del crimine.

Questo moralismo, vecchio quanto gli Stati Uniti, si era organizzato in movimenti di opinione, le Società di Temperanza che in tutti gli stati dell’Unione promuovevano iniziative politiche e sociali contro la produzione e il consumo di alcolici, anche attraverso la stampa di giornali e opuscoli.

In verità, nell’America a cavallo tra l’800 e il ‘900 l’alcolismo era diventato un problema per la sua diffusione e per le conseguenze che esso si portava dietro, cioè povertà, violenza domestica, malattie degenerative. Non è un caso che già dalla seconda metà dell’800 le donne costituissero la parte più attiva di queste società.

A una di queste, l’Anti Saloon League aderirono alcuni tra i più ricchi e influenti personaggi come John Davison Rockfeller e Henry Ford, che non fecero mancare cospicue donazioni.

La società nordamericana era divisa abbastanza equamente fra sostenitori della proibizione assoluta (dry regime, o regime secco) e coloro che non erano convinti di un provvedimento così drastico (wet regime).

L’ago della bilancia virò a favore dei proibizionisti immediatamente dopo il primo conflitto mondiale.

Grandi quantità di grano, orzo, granturco, normalmente utilizzati dall’industria delle bevande alcoliche, vennero destinate a sfamare gli eserciti che si battevano contro gli imperi centrali, specialmente dopo l’ingresso in guerra degli Stati Uniti, nel 1917.

Parte importante dei sostenitori del regime moderato erano appartenenti alla comunità di origine tedesca, tra cui vi erano alcuni degli industriali dell’alcool.

La dichiarazione di guerra agli imperi centrali mise automaticamente fuori gioco la loro opinione e i dati statistici, che sostenevano il miglioramento della situazione socio-sanitaria della popolazione in assenza di cosumo di alcool, influenzarono fortemente l’opinione pubblica.

Il 16 gennaio 1920 entrò in vigore il XVIII emendamento alla Costituzione statunitense, introdotto dal Volstead Act dell’anno prima: la legge che prendeva nome dal suo estensore, il senatore Andrew Vostead, sanciva la proibizione della produzione, trasporto, commercio e uso alimentare di ogni sostanza contenente alcool: era iniziata l’era del Proibizionismo.

Quello che venne soprannominato the noble experiment si risolse nella più grande occasione che le organizzazioni criminali potessero sperare.

A Chicago la sera del 15 gennaio 1920, mentre come nel resto del Paese la gente correva nei bar per l’ultima bevuta legale, una banda armata assaltava un treno carico di whyskey trafugando merce per oltre 100mila dollari di valore: era iniziato il grande affare illegale.

Primo effetto del Proibizionismo fu la completa e immediata rovina di centinaia di stabilimenti, distillerie, bottiglierie, bar e catene di distribuzione degli alcolici.

Ma l’economia americana in piena espansione prometteva di ridare ben presto un lavoro a chi lo aveva perso e infiniti modi per gli imprenditori per ricominciare in altri campi la propria attività.

In secondo luogo, fu immediato l’interesse delle gang criminali per l’affare: l’aver proibito ufficialmente l’alcool, ne aveva consegnato l’esclusiva a coloro che nell’illegalità ci vivevano.

Già nel 1920 i locali speak easy (parla tranquillamente) dove si potevano consumare alcolici di contrabbando, erano più che triplicati, così come le distillerie clandestine, disperse tra foreste e montagne del paese.

E le gang delle bande di quartiere crescevano rapidamente per aggiudicarsi il mercato nero.

In regime di monopolio sul proprio territorio, una banda imponeva prezzi e prodotti ai commercianti della sua zona.

L’impossibilità di controllare quanto veniva smerciato sottobanco portò anche a conseguenze più gravi dal punto di vista sanitario e sociale: i clienti meno abbienti dovevano accontentarsi di prodotti di scarsa qualità, come il moonshine, liquore distillato con attrezzi di fortuna che rilasciavano metalli pesanti nel liquido e che spesso era tagliato con sostanze pericolose per la salute, come coloranti industriali di basso costo.

Le conseguenze dell’avvelenamento da queste sostanze potevano essere terribili, fino alla cecità o alla morte.

I clienti con più possibilità economiche potevano invece contare su whyskey, birra, gin prodotti in Canada o in altri paesi e contrabbandati via mare dai bootleggers, i contrabbandieri specializzati in alcool. Oppure cerveza e tequila, provenienti da oltre il confine col Messico.

Tra le gang scoppiarono subito guerre spietate per il controllo del mercato.

Da questa lotta senza esclusione di colpi uscirono vincitrici le organizzazioni guidate dai boss più ambiziosi e privi di scrupoli.

In quel decennio, emersero le gang degli italiani e degli ebrei provenienti dall’est Europa e negli stati del nord e del centro si espansero irlandesi e italiani.

Nonostante lo stato federale e i governi dei singoli stati membri mettessero in campo risorse sempre più ingenti, nulla pareva poter arrestare la crescita delle organizzazioni criminali, che si strutturavano come una via di mezzo fra l’impresa e la formazione militare.

Inoltre, il fiume di danaro che seguiva gli alcolici permise ai boss di promuovere prima una capillare campagna di corruzione fra le forze di polizia, poi sempre più in alto, fino a metter sul libro paga politici e alti funzionari dell’amministrazione statale.

Al Capone si era comprato i favori del sindaco di Chicago, William Hale Thompson Jr.

E là dove non arrivavano i soldi, c’erano altri metodi: nel 1924 nella città di Cicero i gangsters di Capone fecero rieleggere il sindaco repubblicano corrotto, Joseph Kehnla, a colpi di bastone contro gli avversari democratici e di bombe incendiarie lanciate dentro le loro case.

Per non parlare della forte infiltrazione che le gang operarono all’interno di molti sindacati e associazioni professionali.

Personaggi come Al Capone, capo indiscusso della gang Chicago Outfit, divenne forse il prototipo del malvivente che diventa milionario con la forza suadente dei dollari o con quella letale del piombo.

Il nome Chicago Outfit si riferiva al modo di vestire che avevano adottato i malavitosi, con completi gessati, ghette bianche alle scarpe, fiori vistosi all’occhiello e cappello a falda larga; divenne negli anni a seguire quasi la divisa tipica per gli appartenenti alle gang criminali.

Churchill e il Thompson machine gun

Winston Churchill e il Thompson machine gun, 1940.

Furono anni di accoltellamenti, bombe e agguati a colpi di mitra Thompson, che col suo grosso caricatore rotondo fu uno dei simboli di quell’epoca.

La strage dei rivali irlandesi appartenenti alla North Side Gang, avvenuta in un garage di Chicago il 14 febbraio 1929 e passata alla storia come la strage di San Valentino, divenne il simbolo della crudeltà dei gangsters.

Caddero affiliati di gang rivali, poliziotti e molti cittadini innocenti, colpevoli solo di trovarsi sulla linea di tiro.

Alla fine degli anni ’20 l’America si rese conto di quanto grande fosse il potere parallelo acquisito dalle organizzazioni del crimine e l’allarme sociale divenne altissimo.

Ormai Capone (chiamato scarface per via di una vistosa cicatrice sulla guancia destra) era un uomo d’affari e il personaggio pubblico più influente di tutto l’Illinois: nel 1927 gli agenti del Tesoro appartenenti al Prohibition Bureau, il corpo dedicato alla lotta contro il traffico di alcool e le gang, avevano stimato un reddito della sua organizzazione di almeno 100 milioni di dollari l’anno, totalmente esentasse.

Buona parte finiva reinvestito in attività completamente legali, aumentando la penetrazione del crimine nel tessuto sano della società.

Solo le prove raccolte dalla squadra dell’agente Elliot Ness permisero di associare Capone e i suoi più stretti accoliti alla violazione del Volstead Act e all’evasione fiscale.

Per questi reati Alphonse Capone fu condannato il 17 novembre 1931 a dieci anni di carcere, ma non per alcuni dei numerosissimi omicidi che aveva compiuto di persona o commissionato ai suoi killers.

Alphonse Capone

Alphonse Capone.

Charles Lucky Luciano

Charles Lucky Luciano.

La storia del siciliano Charles Lucky Luciano fu simile: entrato al servizio del boss ebreo Arnold Rothstein, approfittò del Proibizionismo per fare carriera nell’onorata società col contrabbando di alcolici a New York, dov’era immigrato con la famiglia da bambino.

Si dedicò anche al traffico di stupefacenti (era anche dipendente dall’eroina) e allo sfruttamento della prostituzione.

Fu uno dei protagonisti della creazione di un cartello che controllasse il mercato degli affari illeciti, per la quale lavorò sin dal grande incontro tra boss avvenuto ad Atlantic City, nel maggio 1929.

Entrato alle dipendenze del boss siciliano Joe Masseria per via dei suoi contatti di gioventù con i bootleggers ebrei e irlandesi, Luciano divenne forse il nome più importante della storia di Cosa Nostra.

Poco dopo, Luciano si guadagnò il soprannome di Lucky, fortunato, perché rapito da sconosciuti sotto casa sua, venne pugnalato con un punteruolo da ghiaccio più volte e gli fu squarciata la gola.

Abbandonato su una spiaggia di Staten Island, in realtà riuscì a sopravvivere nonostante le ferite.

Nel 1931, eliminato il boss dei boss Salvatore Maranzano, Luciano autorizzò le famiglie dell’East Coast a fare affari anche con le gang non italiane, per lo più appartenenti a famiglie ebree, aprendo la strada alla creazione del sindacato nazionale del crimine (National Crime Syndacate) in cui sedevano i rappresentanti delle cinque famiglie mafiose più influenti degli Stati Uniti: Lou Rothkopf e Moe Dalitz per le famiglie ebree di Cleveland, Charles “King” Solomon in rappresentanza di Boston, John Lazi da Kansas City, Joe Berstein per il cartello di Detroit, Sam Lazar da Philadelphia, Al Capone, Frank Nitti e Jack Guzik per il Chicago Outfit, Lucky Luciano, Frank Costello, Joe Adonis e Louis Buchalter per la zona di New York e il nord-est.

Lo scopo del sindacato era di regolare le attività illecite sul territorio statunitense e non solo in modo da prevenire guerre future fra le grandi famiglie.

Luciano fu arrestato e condannato a cinquanta anni di carcere per omicidio e sfruttamento della prostituzione.

Ma la creazione del sindacato gli permise di continuare la direzione dei suoi affari attraverso i luogotenenti Vito Genovese e Frank Costello (detto faccia d’angelo).

L’importanza raggiunta dalle organizzazioni mafiose e dai loro boss però resta evidente per alcuni episodi storici che riguardarono Luciano.

Nel 1942 agenti della Marina americana andarono parlare con Luciano nel carcere dov’era rinchiuso, sottoposto a regime duro di detenzione, per individuare una rete di spie naziste infiltrate nel porto di New York e nella costa est in generale.

Luciano offrì i suoi agganci nel sindacato dei portuali, ne ottenne il trasferimento al penitenziario di Sing Sing e sopratutto la fine del trattamento duro.

Tuttavia c’è chi dice che la sua collaborazione continuò nel 1943, avendo fornito allo spionaggio americano i nomi di mafiosi siciliani da contattare per lo sbarco sull’isola delle forze alleate, previsto per il luglio di quell’anno.

Molti hanno considerato infondata questa collaborazione, ma è un fatto storico che il suo braccio destro Vito Genovese fosse a Napoli nel dopoguerra come interprete e consigliere di Charles Poletti, capo dell’amministrazione civile americana nei territori occupati dagli alleati.

Luciano venne graziato dal Governatore dello stato di New York Thomas E. Dewey, lo stesso che come procuratore speciale contro il crimine organizzato aveva indagato su di lui e lo aveva fatto condannare.

Lucky Luciano si ritirò a vita privata in Italia, dopo una parentesi a Cuba per coordinare i traffici della mafia sull’isola.

In realtà continuò a coordinare il traffico di stupefacenti, la nuova frontiera del crimine organizzato e sua vecchia passione personale.

Morì di infarto nel 1962, quindi tornò negli States solo da morto.

Tornando al 1929, era ormai chiaro che il tentativo di moralizzare la società attraverso i divieti era palesemente fallito: anzi, aveva accresciuto i problemi della società americana.

Grandi sostenitori delle Società di Temperanza quali Henry Bourne Joy, amministratore della casa automobilistica Packard e Charles Hamilton Sabin, della banca d’affari J.P. Morgan, cambiarono idea e passarono al fronte antiproibizionista.

Il 17 febbraio 1933 il parlamento americano, sotto la spinta del nuovo presidente Roosevelt, approvò il Blaine Act che cancellava il proibizionismo e introduceva il XXI emendamento alla costituzione.

Il successivo 5 dicembre i cittadini statunitensi poterono tornare a acquistare e consumare alcolici liberamente: il “new deal” del presidente aveva disperatamente bisogno di recuperare le tasse sugli alcolici.

Tuttavia, una delle eredità storiche del Proibizionismo fu il radicarsi nel tessuto economico e sociale delle grandi associazioni criminali.

Anche quando l’affare degli alcolici sfumò rapidamente come si era creato, le grandi mafie continuarono a prosperare, grazie alle enormi quantità di denaro accumulate.

Le bande sopravvissute alla guerra per il controllo degli affari e alla reazione della Giustizia americana, investirono i soldi nelle costruzioni, nei sindacati, nello spaccio di droga e in altre attività, legali e illegali, tanto da arrivare fino ai giorni nostri.

La Chicago Outfit di Al Capone o il cartello delle famiglie siciliane di Lucky Luciano sono in affari ancora oggi: la mafia ha imparato a convivere con le istituzioni e ad adattarsi al cambiare dei tempi. Esattamente come avevano fatto le imprese nell’economia legale negli anni dopo il crollo di Wall Street.

Nel 1951, la commissione speciale sul crimine organizzato nel commercio, con a capo il senatore Estes Kefauver, consegnò un rapporto in cui si dichiarava che “Esiste negli Stati Uniti un sindacato della delinquenza ramificato in tutto il Paese … [che] è una coalizione organizzata su base molto elastica ma coesiva di “centri locali” autonomi che lavorano di comune accordo con reciproco vantaggio. Le sue attività sono controllate da una corrotta e cinica associazione di gangster, politicanti venali, e uomini d’affari e di legge. Non c’è un capo supremo … Tuttavia c’è un pugno di hoodlums la cui influenza – anche perché lavorano in stretta collaborazione – è grandissima».

Dietro le bande locali che formano l’insieme del sindacato nazionale della delinquenza c’è una misteriosa organizzazione criminale nota sotto il nome di Mafia».

di Davide Migliore

 

Linkografia

http://it.wikipedia.org/wiki/Grande_depressione

http://www.raistoria.rai.it/articoli/la-crisi-del-29/23914/default.aspx

http://intermarketandmore.finanza.com/wall-street-crash-il-grande-crollo-del-1929

http://www.ilpost.it/2013/02/17/proibizionismo-stati-uniti/

http://it.wikipedia.org/wiki/Proibizionismo

http://www.skuola.net/storia-contemporanea/la-crisi-del-29x.html

http://it.wikipedia.org/wiki/Franklin_Delano_Roosevelt

http://it.wikipedia.org/wiki/Lucky_Luciano

http://it.wikipedia.org/wiki/Frank_Costello

http://it.wikipedia.org/wiki/Sindacato_nazionale_del_crimine

http://www.answers.com/topic/joseph-kennedy-sr

Bibliografia

“Storia del noir, dai fantasmi di Edgar Allan Poe al grande cinema di oggi”, Fabio Giovannini, Castelvecchi Editoria & Comunicazione S.r.l., 2000.

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