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Qual è lo scopo dell’arte?

Pubblicato il 17 ottobre 2013 da redazione

Sensazione di vertigine, voglia di risposte, che lascia ancora più domande. Arte è comunicazione.

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Senza titolo, 1949, olio su tela, collezione Kate Rothko Prizel.

Una comunicazione un po’ strana, ammettiamolo, perché i dubbi che pone sono molto più di quelli che risolve. Ma cosa resta? Resta qualcosa dentro, nella parte irrazionale della mente; qualcuno la chiama emozione, qualcuno…energia.
Arte è passaggio di energia. Spinge a un gesto, a prendere una direzione, un parere. A schierarsi: a favore o contro. Perché l’arte, quella contemporanea, non può lasciare insensibili.
Forse (forse) l’arte del passato può non dire più nulla: cosa ci comunica un San Sebastiano trafitto di frecce di fronte alla tragedia dell’olocausto? C’è bisogno di una nuova comunicazione, di un nuovo modo di parlare alle persone: energia nuova, arte nuova.
Ma come? Il realismo, la replica ossessiva dell’immagine ci ha ormai assuefatti. Le morti, le stragi, gli olocausti non ci destano più, il telegiornale trasmette all’ora di cena la morte in diretta, con immagini vere, ma a nessuno capita di smettere di mangiare per questo. Cosa stiamo sbagliando? L’immagine ripetuta ci ha abituati a tutto; per questo molti artisti contemporanei hanno compreso che il linguaggio nuovo deve riuscire a destare la nostra attenzione per indignarci, per farci passare l’appetito di fronte agli scandali dell’umanità. Serve una nuova energia che non risieda più nel potere, fortissimo per altro, dell’immagine reale che ha condotto all’assuefazione alla vita, all’indignazione, alla paura, all’amore, alla dignità. La tragedia dell’uomo deve tornare a farci irritare, deve farci smettere di mangiare.

Può l’arte fare tutto ciò? Può colpirci dritti lì, nello stomaco, e arrivare alle emozioni più innate ed elementari dell’uomo? Quanta forza ha ancora l’arte, quanta ce ne mette l’artista, quanta ne trae e ne restituisce il pubblico, spesso annoiato e cieco? Bisogna togliere la benda che l’immagine realistica è diventata per l’uomo contemporaneo, sostituendola con un’arte eloquente che condensa la realtà in gesti semplici e colpisce le emozioni elementari con un segno nuovo che sa di poesia, incomprensibile alla mente ma che eccita i sensi ed emoziona il cuore.
È l’arte che racconta la tragedia dell’uomo, è l’arte meditata da Mark Rothko.

Numero I, 1949, olio su tela, collezione Kate Rothko Prizel.

Numero I, 1949, olio su tela, collezione Kate Rothko Prizel.

ECTOPLAMASTICHE FORME MUTANTI – Tecnicamente potremmo definirla come una distribuzione omogenea di forme colorate sulla tela, spesso sovrapposte per creare effetti di trasparenze, con colori in gradazione o contrasto, lucidi o opachi, che spesso formano, come le definisce il critico Shama, “ectoplasmatiche forme mutanti”; geometrie accennate, fino a campiture omogenee di colore verso il monocromo degli ultimi famosi anni della produzione del pittore. Ma sarebbe narcisismo estetico, se fosse solo questo. Sarebbe pittura astratta, e –astratto– dal Sabatini Coletti dizionario della lingua italiana, è: “Concetto universale avulso dalla realtà, prescindendo dalla situazione concreta.”

Non c’è nulla di meno concreto e decorativo dei suoi monocromi, dice lui stesso, anche se abitudine dei ricchi collezionisti snob è metterli in mostra sopra un caminetto come ornamento.  La sua è arte che come soggetto ha la tragedia umana, come mezzo l’uso del colore e delle forme, come scopo il passaggio di energia che solletica le elementari passioni umane. Come fai a tenerla su un caminetto?!

MARK ROTHKO – Rothko, è vero, non ha mai vissuto né l’olocausto né la guerra in prima persona, ma li sente parte della sua storia e della sua identità. Marcus Rothkowitz, è un ebreo nato nel 1903 a Dvinsk, nella Russia zarista in cui gli ebrei venivano impunemente aggrediti per strada; ad un suo parente avevano persino tagliato la testa. I pogrom sono all’ordine del giorno… anche se, fortunatamente, non a Dvinsk. A sette anni parte con la famiglia per gli Stati Uniti in cerca di una nuova patria. L’ebraismo ortodosso in cui cresce non peserà mai esplicitamente sulla sua arte, anche se addosso qualcosa gli rimase per sempre; apostrofato come ebreo saputello e irascibile è una studioso brillante, specie filosofia e psicologia. È il miglior oratore della Lincoln High School,ottiene numerose borse di studio, frequenta Yale… Marcus a tutti gli effetti può definirsi un ragazzo eccellente. Il primo breve incontro con l’arte avviene in teatro, anche se la carriera di attore terminerà senza grandi successi: i suoi più autentici monologhi saranno i suoi quadri. Appena giunto a New York si iscrive a un corso di disegno e nel 1925 segue le lezioni di pittura di Max Weber, iniziando a dipingere nature morte, nudi e paesaggi. Dipinge in particolare la sua condizione di immigrato emarginato, quadretti scuri, tristi, ritratti di famiglia, ambulanti da marciapiede… anche se gli anni Venti e Trenta saranno da lui descritti come periodo duro ma splendido: “Niente gallerie, niente soldi, niente critici. Ma una visione da guadagnare e nulla da perdere”.

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Senza titolo (Metropolitana), 1937 ca, olio su tela Washington, National Gallery of Art.

Il museum of Modern Art ancora non esiste; il Metropolitan e il Whitney Museum of American Art celebrano un’arte insipida borghese e provinciale che snatura la vera società dell’America del New Deal. L’America, per come la vede Rothko, è un popolo in fermento, è la vita, il movimento, il progresso. C’è bisogno di una nuova arte per una nuova America, che sia vitale come la sua gente, giovane come la sua storia, cresciuta come faro di una nuova civiltà fondata su autentici principi.
Nel 1936 la scintilla: Rothkowitz visita la mostra Dada e Surrealista al Museum di Modern Art che lo ispira per la colorata serie delle metropolitane; “è il pendolarismo come allucinazione (ne sappiamo qualcosa tutti, vero?): il senso di prendere all’improvviso coscienza della passeggera stranezza di trovarsi intrappolati in un vagone, a sfrecciare verso un nowhere-ville, o un non-luogo. Le metropolitane di Rothko colgono qualcosa di quella routine urbana che è una esperienza contemporaneamente sociale e cupamente spettrale: dello squallido ronzio dei binari, dell’odore agrodolce di disinfettante, della soglia mobile fra l’ora e il qualunque-momento. (…) L’azione reale si svolge dove i colori paiono avere una vita propria, disgiunta da ciò che si suppone rappresentino. Rothko chiamava i suoi colori “attori”, e sul bordo della banchina, in una strisciata di cremisi intenso stesa trascinando il pennello quasi asciutto, si può capire cosa intendesse. La sferzante energia del segno trasmette la tensione del binario, ma vibra anche di una sua propria elettricità puramente pittorica. Girate l’immagine di quarantacinque gradi e vedrete alcuni degli elementi che faranno di Rothko Rothko: campi di colore intenso contenuti, ma non rigidamente, da linee di cornice. Il viaggio era iniziato.” 
Ma l’evoluzione tecnica si accompagna all’importante chiamata morale che la seconda guerra mondiale ebbe nella coscienza artistica, civica (nel 1938 era diventato cittadino americano) e umana di Rothko. Lo scopo è salvare il mondo dal nuovo Medioevo, dal potere che considera l’arte moderna arte “degenerata”, senza comprendere che quella stessa arte avrebbe portato l’uomo alla genesi di un nuovo Rinascimento. Inizia così la missione di Rothko, che vede l’arte come riparazione dalla crisi morale universale di un mondo in guerra, riappacificando l’anima della gente attraverso una energia positiva, una vera bomba atomica.
Tutto ciò non sarebbe accaduto con l’utilizzo dell’immagine realistica, ma mediante la semplicità fondante  del colore e della linea..

Nero su marrone (abbozzo per Murale Seagram), 1958, Olio su tela, Londra Tate Gallery.

Nero su marrone (abbozzo per Murale Seagram), 1958, Olio su tela, Londra Tate Gallery.

SEMPLICITÀ. COMUNICAZIONE. ENERGIA – Nasce quello che poi verrà convogliato nell’Action Painting: ammassi di colori che come cellule primordiali si abbracciano sulla tela verso la creazione di qualcosa. Ciò che ha inizio è una nuova pittura. Se da una parte Pollock con l’irruenza del suo gesto carica di fuochi artificiali la superficie della tela, Rothko attira l’occhio dentro la tela, in un colore dalla indefinita profondità. Ma attira anche fuori il colore, in un gioco fra interno ed esterno, fatto di domande e di risposte che passano dal quadro dentro allo spettatore fuori. È un crearsi artistico che  non termina mai, un continuo mutare dell’opera nella testa dell’osservatore dato dal vibrare della tela. I colori sono “attori”, aveva detto Rothko, che “avanzano verso il bordo del proscenio tendendosi nelle tenebre alla ricerca della nostra comprensione”.

Già dalla prima metà degli anni Cinquanta il giovane Rothowik aveva ormai lasciato il posto al famoso Rothko; la fama e i prezzi dei suoi lavori aumentano a dismisura e le sue tele diventano il vanto di ogni collezionista che riesca ad acquistarne una; tutto ciò porta all’inasprimento del carattere già intrattabile dell’irascibile Rothko, vittima, secondo lui, di continue incomprensioni. Ciò che più di tutto lo urta è il giudizio sui suoi quadri, visti come mistiche rappresentazioni di calma interiore. “Un senso del tragico è sempre con me quando dipingo”, diceva. E in effetti Rothko dipinge tele che sono veri e propri spettacoli tragici, così come farebbe un attore o un drammaturgo.
L’occasione per rivelare la potenza dei suoi monocromi si presenta nel 1958 quando la compagnia di distillazione canadese Seagram gli commissiona la decorazione con pannelli del Fuor Season, prestigioso ristorante newyorkese “dove i bastardi più ricchi di New York vanno a mangiare e farsi vedere”. La sfida, la missione, era far passare la fame ai “bastardi”, disarmarli con la forza tragica delle sue opere per riconvertirli ad una nuova morale. Non fu semplice; mosso dal suo intento salvifico, spronato da un lauto compenso di trentacinquemila dollari, Rothko incomincia il lavoro: affitta un’intera palestra nella quale ricostruisce le pareti del ristorante a grandezza reale, per riuscire a verificare le relazioni di forza nate fra un pannello e l’altro. In circa due anni di lavoro produce 27 composizioni, fra cui le nove previste per il ristorante. Lo scopo della sua carriera stava per essere raggiunto.

MENÙ – Ma un giorno apparentemente insignificante del 1959 tutto cambia. Rothko, è vero, aveva raggiunto fama e ricchezza, ma rimaneva sempre un uomo umile che si accontentava del necessario. Con il Four Season da poco inaugurato, decide di andarci a cena la moglie… ma alla lettura del menù il sogno di educare le menti di ricchi cittadini svanisce per sempre e qualcosa crolla nella missione umanistica di un pittore ottimista. A casa chiamerà un amico al quale dirà: “Chi mangia cibi del genere per quei soldi non guarderà mai un mio dipinto”. Come sempre da due anni il giorno dopo torna nella sua palestra, ma sfiduciato e senza uno scopo. Rifiuta il compenso e rispedisce al mittente l’acconto di settemila dollari… un mucchio di soldi.
Chi aveva vinto? Il ricco immorale o Rothko? Società del benessere o Arte?

Senza titolo (nero su grigio), 1969, acrilico su tela, collezione Kate Rothko Prizel.

Senza titolo (nero su grigio), 1969, acrilico su tela, collezione Kate Rothko Prizel.

MAUSOLEO – Gli ultimi dieci anni della vita del grande pittore sono alla ricerca di una mausoleo, non un museo, in cui tradurre in realtà la frustrazione della Four Season. Intanto, in America, l’arte si faceva POP e con i ricchi alla moda ci andava a braccetto. Il suo umore peggiora sempre di più; è un uomo malato, sgarbato e cattivo, che abusa di alcool e fumo, il cui declino si traspone in opere sempre più buie, cupe come lui. La vitalità dei colori dei murali Seagram è spenta per sempre. Arriva ai monocromi nero corvino ai quali ogni tanto abbina zone di bianco luminoso “Sono, sia dal punto di vista cromatico sia concettuale, fra le sue opere migliori, poeticamente compresse e liricamente intense. Un cobalto celestiale penetra nel nero per spingersi nelle tenebre che avanzano, con la fiamma blu che lambisce i bordi. La sua ultimissima tela è una vampata di luce vermiglia, la cremazione di un guerriero.”(Shama).
Il guerriero si toglie la vita il 25 febbraio 1970 recidendosi le vene e l’arteria del braccio destro ed intossicandosi con due flaconi di idrato di cloralio.

Il 25 febbraio 1970 nove murali Seagram non arrivano nel ristorante di destinazione ma alla Tate Gallery di Londra, dove tuttora sono esposti. Poche ore prima il corpo di Mark Rothko viene ritrovato nel suo studio di Manhattan in una pozza di sangue. “L’artista che tanto a lungo aveva percorso nella mente il regno dei morti, aveva ora, a Londra, qualcosa che assomigliava ad un suo mausoleo” (Shama).
Quarant’anni dopo non possiamo dire chi abbia vinto. Possiamo solo credere che l’arte è fatta da grandi uomini che cercano ancora di comunicare con noi. Lasciarci penetrare dalla loro energia significa permettere che la vita, la morte, le passioni, l’istinto, la Grande Tragedia dell’uomo non rimangano solo titoli e storie di quadri dentro ai musei, ma energia vera.

di Jessica Ghezzi

Linkografia e Bibliografia

Simon Shama, Il potere dell’arte. Le opere e gli artisti che hanno cambiato la storia, Milano, Mondadori, 2007

www.wikipedia.org

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