Categoria | Cultura

Noi, giovani favolosi.

Pubblicato il 21 novembre 2014 da redazione

Vi capita mai di ripetere in testa una parola e analizzarla a lungo? “Favoloso”. Aggettivo qualificativo maschile singolare. Basta?

La favola aggiunge alle cose una dimensione immaginifica, che spalanca subito scenari onirici, dove tutto sembra possibile, come nei disegni dei bambini, in cui il cielo è una linea azzurra e gli steli dei fiori sono alti quanto le case.

Rimanda alla pura libertà e crederci non può che essere estremamente consolante.

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Il giovane favoloso.

Incontrando questo titolo nella pagina delle proposte cinematografiche, mi è sembrato un contenitore interessante, poi ho contravvenuto alla prima regola di chiunque voglia godersi a pieno una qualsiasi opera dell’intelletto umano e ho letto la trama. Film biografico su Giacomo Leopardi; ogni entusiasmo mi è calato e ho girato il giornale alla pagina successiva. La solfa su Giacomo Leopardi è sempre la stessa, ce l’hanno propinata all’infinito a scuola facendoci leggere fior fior di biografie e imponendoci parafrasi su parafrasi. Non si scappa: quell’inflazionato pessimismo cosmico, che si associa ineluttabilmente al nome del poeta di Recanati, incute perennemente lo stesso timore reverenziale che porta spesso ad alzare gli occhi al cielo, a sbuffare un po’ ed a chiudere in fretta l’argomento. Argomento che, invece, Mario Martone, regista teatrale e cinematografico, ha deciso di rendere immagine in un film che, presentato alla 71esima edizione della mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, ha suscitato il consenso generale, facendo guadagnare a Martone la nomination per il Leone d’Oro. Non serve essere dei raffinati conoscitori di arte cinematografica, né avere gli strumenti per recensire un’opera con la adeguata preparazione tecnica, per lasciarsi estraniare dall’esordio del film sulla famosissima “siepe, che da tanta parte/ dell’ultimo orizzonte il guardo esclude”, in grado di suscitare subito nello spettatore un forte impatto emotivo che, a fronte dell’intera visione, potrebbe rivelarsi incredibilmente profetico. La poesia prende subito possesso della storia e tutto il resto diviene un accessorio.

La narrazione della vita del giovane Giacomo, tra studi frenetici e salute cagionevole, diventano, in un balenare di scene, una cornice barocca al vero nucleo della vicenda, l’umanità del poeta, i sentimenti di chi, ora, come nel 1800, provi in sé un emozione tanto dirompente da decidere di farsi lirica. Da questo punto di vista Leopardi diventa così vicino al punto da poterlo quasi toccare. Un ragazzo di vent’anni che guarda il mondo e non lo capisce, che indaga se stesso e si spaura per l’inadeguatezza di accostarsi ai progetti, ai desideri e all’affettività che, senza controllo, si fanno strada in lui.

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I monologhi notturni di un giovanissimo Giacomo che, alla scrivania, guarda la luna e compone appaiono dunque la giusta valorizzazione della principessa indiscussa di questa narrazione: la parola. Parola che la sensibilità e l’intelligenza rendono verso con breve passo e che sono l’unico vero collegamento tra il nostro mondo e quello dei poeti. Non sembra dunque più così difficile avvicinarsi ai grandi che, così come tutti noi facciamo, spesso basano la propria grandezza sulla cosa più semplice e comune del mondo: l’introspezione. Martone infatti ci presenta Leopardi come un giovane che si serve del proprio talento letterario per esprimere un talento ancor più grande e più pericoloso, quello della pura sensibilità d’animo, che lo conduce senza paura a dare voce ai propri sentimenti, impresa che, alla luce della contemporaneità, sembra quasi una follia. E’ facile prevedere però come la critica non sia prerogativa esclusiva dei nostri giorni. Non stupisce infatti come negli alti salotti letterari, in particolare quello del Gabinetto Vieusseux, la critica professionale in primis e poi i lettori della colta borghesia lamentino il costante riferimento nella poetica di Leopardi ad una natura maligna e ad un senso di infelicità esistenziale insito nello spirito umano, totalmente in contrasto con l’impeto rivoluzionario della gioventù di primo Ottocento, mossa da un desiderio di riscatto politico, sociale e culturale.

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La vita è bella e degna di essere vissuta, guai a pensare il contrario! Ed ecco che si apre la seconda porta che elimina definitivamente ogni schermo tra noi giovani d’oggi e il giovane favoloso: la paura e la consapevolezza di non essere compresi e riconosciuti in quel che siamo e che proviamo. C’è chi sbatte i piedi e si arrabbia e chi, miracolosamente, compone “ A se stesso”; cambia il modo, ma il principio è il medesimo.

Sembra dunque improvvisamente facile comprendere la solitudine dei poeti, che probabilmente non è poi tanto diversa dalla nostra, nel tentativo di cercare la strada e di percorrerla al meglio, per quanto possibile. Questo racconto, attraverso un carosello di ambientazioni naturalistiche, pregevole colonna sonora e felicissime prestazioni attoriali, invita dunque ad abbattere ogni muro tra noi e la poesia, ci esorta a saltare con soddisfazione tutte le pagine di spiegazione e di commento prima di arrivare all’antologia.

Martone non dipinge Giacomo Leopardi col cliché dell’ infelice solitario, geniale e imperscrutabile, che si aggira curvo per le vie, con la giacca dall’ampio bavero e l’enorme cilindro, ma vede in lui un ragazzo impaurito che, di fronte alle cose che desidera e non conosce, prova, come può, a trovare un equilibrio e un senso alla propria vita. Questo più che mai lo rende favoloso e così anche noi lo diventiamo, insieme a lui.

di Maria Elena Micali

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