Categoria | Politica-Economia

Che fine fa la frizione democratica in Italia e quali speranze ha la politica partecipata di sopravvivere nell’era della globalizzazione?

Pubblicato il 30 marzo 2015 da redazione

Nadia Urbinati_ridotta

Ci risponde Nadia Urbinati, professore di Teoria politica alla Columbia University di New York.

 

Adriana Paolini. Si dice che la riforma elettorale e costituzionale sia cesaristica, perché sposta il baricentro sull’Esecutivo e sulla maggioranza parlamentare, che potrà così essere più rapida nell’approvare le leggi. Non pensa, che così si perderà il dibattito democratico del nostro Paese?

Nadia Urbinati. Ho usato il termine “democrazia cesaristica” in un articolo appena uscito nella rivista Italiani Europei. L’avevo già usata qualche anno fa in un articolo per Repubblica, in relazione al Governo Berlusconi.

Comunque sia, il problema come lei nella sua domanda già lo rivela, è che si evidenzia una convergenza pianificata tra Riforma della Costituzione e Riforma Elettorale. Una convergenza che, secondo Matteo Renzi, dovrebbe portare al rafforzamento della governabilità con la conoscenza, la sera stessa della chiusura dei seggi, di quello che sarà il governo dei prossimi cinque anni.

Indubbiamente il bisogno di una stabile maggioranza che i cittadini conoscono fin dall’inizio, è legittimo. Lo è in tutte le democrazie, poiché il nostro voto mira a formare una maggioranza.

E poiché la regola della maggioranza è regola aurea, a governare deve essere una maggioranza. Maggioranza che ovviamente si esprime attraverso i seggi parlamentari, quindi, e che presume una minoranza. Questa esigenza è più che legittima. Tuttavia accanto a questa esigenza di governabilità c’è anche l’esigenza di rappresentanza, che va al di là della conta dei voti e dell’attribuzione dei seggi e che (poiché viviamo in un sistema rappresentativo, non di democrazia diretta), il Parlamento deve avere la cura di ospitare il numero più ampio possibile di idee che la società esprime; in modo tale che il Parlamento sia espressione rappresentativa dell’intero Paese e che abbia la funzione non solo di formare una maggioranza che governi, ma anche, grazie al pluralismo delle opposizioni, di controllare la maggioranza medesima, le leggi o le proposte e che, quando necessario, sia in grado di fermarle (l’opposizione deve poter avere la funzione di veto).

Con questa riforma convergente della Costituzione e della Legge Elettorale, questa esigenza è sacrificata ad un unico semplicistico obiettivo, quello di rendere solido il Governo, ovvero l’Esecutivo. In questo senso ho usato l’espressione cesarismo, perché è una riforma che mira a costruire un’unità di maggioranza sotto un leader.

E quindi si potrebbe dire che questa riforma non dichiara quello che fa pur facendolo: sta facendo una riforma di tipo presidenzialistico.

Un secondo punto grave della legge elettorale, è quello che stabilisce che se nessun partito raggiunge al primo turno il 40% e si va al secondo turno, a questo punto competeranno solo i primi due partiti, e quello che vincerà otterrà un surplus di seggi fino al 53%. Questo significa che dovendo noi votare per i partiti e non per un leader presidenziale, il secondo turno verrà combattuto da due partiti e ai cittadini non resta che o non andare a votare o votare un partito che non voterebbero mai. Al secondo turno i cittadini si troveranno di fronte a questo paradosso:

a) abbandonare l’idea di sincerità del voto pur di votare ovvero di esercitare il proprio diritto;

b) votare secondo una finalità strumentalissima;

c) non andare a votare.

Perché qui non si tratta di votare la sigla di un partito che al secondo turno opta per un presidente (pensiamo al caso della Francia), ma si tratta di votare un partito politico. E molti cittadini al secondo turno possono realisticamente pensare di non voler votare un altro partito.

Quindi è una riforma elettorale viziata. Si adatterebbe meglio a un sistema presidenziale, ma se è applicato come ora a un sistema che vuole essere parlamentare (anche se vincola come abbiamo detto prima la filosofia parlamentare al perseguimento prima di tutto della rappresentanza della maggioranza), il doppio turno con un premio di maggioranza ad un partito, può voler significare davvero uno scollamento radicale fra voto e libera scelta del cittadino. Il voto diventa davvero molto strumentale, senza più nessun legame con la sincerità o la preferenza individuale che non sia indotta ovvero come necessità, visto che diversamente non si andrebbe a votare.

Dal punto di vista tecnico vince, quindi, la volontà del leader, che si dichiara rappresentativa della volontà del Popolo. Una volta che hanno eletto questa maggioranza, al primo o al secondo turno, i cittadini hanno finito il loro lavoro, tutto il resto lo faranno i delegati. Dunque si tratta di una trasformazione del potere delegato della nostra Costituzione. Diciamo anche, ed è un fatto grave  che  il PD abbia votato alla Camera questa riforma della Costituzione da solo. E’ vero che se la riforma passa a maggioranza si va a referendum, ma una riforma che passa in questo modo, ovvero a maggioranza e con la prospettiva prevista di dare la voce finale ai cittadini, è una riforma che conta su un’azione propagandistica del leader e dell’opinione pubblica. Alla fine sarà un plebiscito più che un referendum. Come molti studiosi ci dicono, le Costituzioni scritte o riformate pensando che, tanto verranno passate per voto referendario, e che quindi non necessitano di una grande maggioranza dell’assemblea, sono le peggiori perché contano sulla manipolazione populista dei consensi elettorali.

 

Adriana Paolini. Come mai, secondo lei, negli atteggiamenti e nei comportamenti, Renzi si rivolge più al Popolo che ai suoi pari?

Nadia Urbinati.  Ritengo che Renzi parli rivolto soprattutto ai media. E questi ultimi, invece di fare un lavoro di controllo, di incalzo, di analisi critica, lo assecondano. Diceva Thomas  Jefferson, uno dei fondatori della democrazia americana, che sarebbe preferibile non avere un Governo, piuttosto che non avere una pluralità di giornali.

Bene,  se invece si guardano la Tv e i giornali non si può non vedere che c’è un unico pensiero; certo il leader viene criticato un po’ qua e là, ma la critica esplicita è offerta molto più spesso da un comico (Maurizio Crozza) che da un’analisi compiuta e libera elaborata dagli organi di informazione. Questa carenza di pluralismo fa sì che l’opinione pubblica ufficiale tenda ad allinearsi con il potere del Governo. Si intuisce, così, che il lavoro di preparazione al Referendum Costituzionale è già cominciato.

 

Adriana Paolini. Se quindi in prospettiva, il voto elettorale sarà solo un atto di delega, un atto di fede o comunque solo la scelta di un simbolo, come pensa sarà possibile per le minoranze avere ancora qualche peso?

Nadia Urbinati.  Come sappiamo sono i due partiti a maggioranza relativa che vanno al doppio turno per non aver raggiunto il 40%. Quindi è possibile che al secondo turno vada un partito che ha preso il 20% e un partito che ha preso il 18%. Se c’è al primo turno una presenza pluralistica estesa, è molto probabile che saranno partiti minoritari ad andare a combattere per il premio di maggioranza. Questo è un fatto negativo.

Se noi dobbiamo essere coerenti alla regola di maggioranza, e quindi dare alla maggioranza quel che la maggioranza merita, dobbiamo riconoscere che queste sono minoranze falsate per maggioranze. Per questa ragione il secondo turno si adatta meglio a un sistema presidenziale che a un sistema parlamentare.

Detto questo non è che le minoranze scompaiono. Saranno portate ad allearsi.Ed è probabile che questo non comporti la fine della frantumazione, come auspicato; semplicemente comporta portare il conflitto dentro le alleanze. In aggiunta, come detto prima, c’è il rischio serio che molti elettori non vadano a votare al secondo turno per non votare un simbolo di partito non loro. Se dietro la figura di Hollande ci sono vari simboli, il cittadino non socialista non voterà per Hollande ma per il simbolo che fa cordata per eleggere Hollande. Ma nel caso italiano, si deve votare per il partito. Quindi l’elettore avrà o dovrà avere due alleanze non una; essere pronto a votare due partiti non uno. Il sistema può per questo favorire l’apatia elettorale, la non partecipazione al voto.

Già abbiamo visto come questo Partito Democratico vada a nozze con l’assenteismo elettorale, perché sa benissimo che i voti che contano sono quelli di coloro che vanno a votare. E quelli che vanno a votare sono coloro che o hanno un basso profilo ideologico, per i quali il voto non ha un grande valore simbolico, oppure che hanno degli interessi corposi da rappresentare con il partito di maggioranza. Come si è visto in Emilia Romagna, con il 37% di votanti, il PD con il solo 18-20% governa come se fosse una maggioranza. Questa riforma elettorale stimola l’assenteismo.

 

Adriana Paolini. C’è un modo per impedire all’attuale Governo di avanzare a suon di decreti legislativi saltando la discussione parlamentare?

Nadia Urbinati.  No. Le regole del gioco sono quelle che sono. L’uso delle regole del gioco dipende dalla cultura politica e dal senso di opportunità e di prudenza. Finché c’erano partiti che erano compositi e con forti personalità e molti interessi interni rappresentati, c’era tutto l’interesse affinché partecipassero tutti alla discussione per potere bilanciare le componenti. Oggi che non c’è più questo tipo di partito, ma un partito di una persona con il suo gruppo di fedelissimi, non conta molto discutere, basta votare. Quindi la metodologia della conta del voto, che con le primarie si è imposta, ci porta verso una democrazia essenzialmente solo elettoralistica; noi siamo elettori, ma la nostra voce è irrilevante, a meno che non sia armata di forti interessi.

 

Adriana Paolini. Anche il numero di firme del Referendum Popolare, per le proposte di legge, è stato alzato enormemente.

Nadia Urbinati.  Questa riforma della Costituzione si avvicina a quella ungherese di Orban più che alla nostra Costituzione del 1948, perché è una riforma fortemente maggioritarista, che penalizza il diritto di voto e il potere dei cittadini. Prima di tutto, perché votiamo solo per una Camera (per il Sindaco, per i consiglio regionale, e per una Camera) mentre ritorna il voto indiretto oppure la designazione da parte della segreteria dei partiti. Si tratta di una decurtazione del potere di sovranità dei cittadini.

 

Adriana Paolini.  Con il secondo potere dello Stato, quello del Senato, trasformato in mero organo di consulenza, chi porrà il Veto e arginerà l’operato del Parlamento? E come verrà quindi salvato il principio del bicameralismo perfetto?

Nadia Urbinati.  Secondo la modifica che è in corso, il Senato sarebbe un organo anche di controllo, perché può chiedere che una legge venga discussa prima della sua approvazione finale o anche fermata. Quello che per me è problematico, è che è troppo potente per la sua bassa legittimità: viene eletto dai Consigli Regionali a voto indiretto e nonostante questo esso può intervenire sulla Costituzione. Quindi ci sono dei grandi elettori  che hanno più sovranità di noi cittadini. Questo è il suo limite. Perché se il Senato non avesse potere di intervenire sulla Costituzione, allora sì sarebbe un organo di controllo dell’attività politica e della legislazione ordinaria; invece ha anche potere di intervenire sulla carta costituzionale e questo  è gravissimo, come è grave che gli eletti nei Consigli Regionali abbiano due voti, mentre noi ne abbiamo uno solo.

 

Adriana Paolini. Qualche anno fa è stato pubblicato Guasto è il mondo, di Tony Judt che, in un mondo ormai globale, auspica un ritorno a società di tipo socialdemocratico. Cosa ne pensa?

Nadia Urbinati.  Il modello socialdemocratico ha concluso la sua esperienza. L’Europa ne era la culla, la sua patria originaria. Ora il modello vincente è quello neoliberale, in cui invece dello stato sociale vi è il pubblico aiuto a chi non riesce a farcela da solo. La privatizzazione dei beni pubblici, a partire dal bene educazione al bene lavoro: oggi tutto è dato al mercato, che se ne cura con la stessa logica delle quantificazioni di costi benefici, senza lasciare, per ora, finestre di uscita.

Dal punto di vista della nostra Europa, che è una fetta importante del globo, io vedo una straordinaria vittoria della logica del mercato finanziario.  Quando i prestiti vengono dati ai paesi, imponendo alcune riforme tra le quali la liberalizzazione e l’eliminazione dei diritti che tutelano il lavoro, si constata come a essere messa in discussione sia proprio la libertà di decisione degli Stati, e soprattutto della decisione di fare politiche socialdemocratiche. Questi Stati, oltretutto, invece che combattivi e alleati per trovare forme di azione capaci di contrastare questo progetto, marciano individualmente; fanno accordi interstatali con la Germania e gli altri paesi forti, dimenticando i loro cittadini più deboli. Per cui la Grecia affonda e gli viene imposto di non fare politiche di aiuto umanitarie, mentre si impone che i debiti vengano legati, non alla crescita, ma alle privatizzazioni. Non mi sembra, quindi, ci sia spazio per un ritorno alla socialdemocrazia.

 

Adriana Paolini.  Come ci si salva quindi dagli interessi delle multinazionali e dei grandi gruppi finanziari e come si costruiscono istituzioni sovranazionali di controllo delle stesse? Perché oggi tocca alla Grecia, domani  magari  all’Italia, ma dopodomani potrebbe toccare anche alla Germania. Occorrono dei meccanismi, delle sentinelle, dei tavoli di discussione in cui poter  stabilire nuove regole per il mercato. Quelle attuali sono vecchie e si riferiscono a un mercato territoriale e non globale.

Nadia Urbinati.  In realtà, il mercato era già globale anche nel ‘900, solo che non ce ne accorgevamo così fortemente perché il mondo era diviso in due e quindi i confini erano molto forti (ma all’interno dell’Occidente c’erano già delle forme di globalizzazione). Il problema è che fino a quando sono i Paesi più deboli ad avere dei problemi, questi sono deboli, e non hanno la forza di imporre proprio nulla. Perciò c’è solo da sperare che i Paesi forti soffrano, ma la sofferenza dei Paesi forti, a meno che non abbiano un senso di forte nazionalismo, sarà solo la sofferenza di alcune parti delle loro popolazioni, non di coloro che hanno in mano le regole del gioco, il potere del consenso, il potere dell’opinione. Io non vedo al momento nessuna soluzione. Non perché non ci possa essere, ma perché questa è una fase di forte egemonia neoliberale, che ha conquistato tutti. Ha conquistato la direzione della BCE, ha conquistato la direzione di tutti i Paesi, ha conquistato la Destra e la Sinistra, al punto che non c’è più alcuna differenza fra l’una e l’altra. Quindi c’è una oggettiva egemonia di un modo di pensare la politica che è tutto basato sulla centralità delle regole del gioco privato.

 

Adriana Paolini.  Certo, ma manca il progetto sociale. Che fine ha fatto?

Nadia Urbinati.  Certo che manca. Quando non c’è più l’organizzazione del lavoro,  e questo diventa un fatto privato  per cui io prendo 150 euro al giorno, chi se ne frega se molti non hanno di che vivere con dignità? Se non ho più un rapporto collettivo sindacale si è rotta la possibilità di unione e quindi il mio potere come lavoratore è nullo. Tutto è sgretolato in individui. Questa riforma detta del Jobs Act produce una frammentazione dell’unità delle forze del lavoro, e in questo senso toglie voce ai lavoratori. I deboli  hanno una sola strategia, che è quella dell’unità; senza la quale il loro potere contrattuale è azzerato.

 

Adriana Paolini.  Quindi si riparte dal Sindacato o dalla Politica?

Nadia Urbinati.  La politica è soltanto un mezzo per conquistare e preservare il potere da parte di un gruppo ristrettissimo di classe dirigente che non ha nulla a che fare con la Politica partecipata. Quindi bisognerebbe andar fuori dei partiti. Fuori c’è il mondo sociale, ma questo è stato così tanto disgregato negli anni, che si prevede occorrerà un lavoro lungo di azione politica e aggregativa; non è sufficiente andare in piazza, occorre un’opera di elaborazione ideologica, secondo quanto suggerito da Gramsci. Le forze sociali del lavoro sono completamente disorganizzate e dissociate, individualizzate, hanno per questo perso voce politica; non sono forti perché non sono più associate.

 

Adriana Paolini. Cosa ne pensa della coalizione sociale di Landini?

Nadia Urbinati.  Penso che sia un’esperimento buono. Vediamo come va. Certamente  è una figura che appartiene a un mondo legato a una fase della vita e del lavoro. Lui si ispira a Podemos. I fondatori di Podemos hanno costruito immediatamente un partito. Dopo pochi mesi, l’hanno ricostruito su un argomento fortissimo, che Landini cerca di imitare, e che è legato alla ridescrizione dell’Europa, a una contrattazione contro questa Europa, perché le forme antagonistiche aiutano a crescere come movimento politico.

Bisogna vedere. Non sappiamo ancora come si evolveranno le cose.

(L’intervista è stata rivolta alla Professoressa Nadia Urbinati il 21 Marzo 2015).

 

 

 

Biografia di Nadia Urbinati

È professore di Teoria politica alla Columbia University di New York, dal 1996, dopo avere insegnato in diverse università statunitensi e nell’Università di San Paolo in Brasile.

Alla Columbia University ha fondato e diretto il workshop «Politiche, religioni e diritti umani».

Nel 2009 è stata insignita del «Lenfest Distinguished Columbia Faculty Award», il premio più prestigioso che Columbia University assegna ai suoi docenti.

Collabora con il quotidiano «la Repubblica», il «Il Sole 24 Ore» e «Italiani Europei» .

È stata condirettrice della rivista statunitense «Constellations».

Tra i suoi ambiti prevalenti di ricerca e insegnamento, il pensiero democratico e liberale contemporaneo e le teorie della sovranità e della rappresentanza politica.

È autrice di numerosi saggi e volumi in inglese e in italiano, tra cui, i più recenti:

La mutazione antiegualitaria. Intervista sullo stato della democrazia, a cura di Arturo Zampaglione (Laterza,2013);

Liberi e uguali. Contro l’ideologia individualista (Laterza, 2012, 4^ ed.);

Democrazia rappresentativa: sovranità e controllo dei poteri (Donzelli, 2010, 2^ ed.).

Lascia un commento

Advertise Here

Foto da Flickr

Guarda tutte le foto

Advertise Here

LINK