Vincere il 6 nazioni è davvero così importante per il rugby italiano?

print

Martin Castrogiovanni, pilone della Nazionale Rugby italiana 2012.

Martin Castrogiovanni, pilone della Nazionale Rugby italiana 2012.

Cosa succede alla Federazione Italiana Rugby, da sempre indicata come contraltare a quella calcistica per i suoi valori e sobrietà. Oggi la federazione è guidata dal settantasettenne Giancarlo Dondi, ex giocatore, dirigente della stessa dagli anni novanta e suo presidente dal 1996. E’ indiscutibile il fatto che Dondi abbia il merito di aver portato il rugby italiano nel panorama internazionale, primo tra tutti la partecipazione al Sei Nazioni, ma oggi il malumore cresce nella base del rugby italiano con una frattura netta tra il mondo dilettantistico-semi professionistico e quello professionistico legato soprattutto alla nazionale e alle franchigie che giocano nei campionati internazionali. Negli ultimi anni, per poter accedere al gotha del rugby mondiale, la federazione ha dovuto creare una nazionale credibile e competitiva e per rispettare gli alti standard sia fisici che tecnici imposti dalla federazione internazionale (IRB) è stato necessario rinforzare la nazionale di rugby di oriundi, principalmente argentini in fuga dalla crisi economica del loro paese, trasformando di fatto la nostra nazionale in una compagine professionistica che indossa la maglia azzurra. Il contraltare è stato l’impoverimento costante della qualità del nostro massimo campionato di serie A, opportunamente rinominato di Eccellenza e di tutto il movimento di base. Basti pensare che per la prossima stagione la federazione ha annunciato che il contributo al movimento rugbystico italiano sarà di poco più di circa 900.000 euro, a fronte di un bilancio federale di quasi 40 milioni di euro, di cui 10 provenienti dalla partecipazione al 6 Nazioni. Non a caso quasi tutte le squadre con grande tradizione rugbystica, come l’Aquila, Roma o il Petrarca Padova, i tutti-neri italiani, gia duramente colpiti dal passaggio dal dilettantismo al professionismo, in questo momento di crisi stentano a trovare risorse per fare un minimo di programmazione, non di qualche anno, ma anche solo di due anni.

Sempre per alimentare la nazionale, la federazione ha istituito l’Accademia nazionale di rugby a Tirrenia per i giovani talenti delle categoria Under 19, più altre tre a Parma, Mogliano e Roma per i più giovani, con i fondi milionari messi a disposizione dall’IRB (International Rugby Board) in cui riunisce i migliori giocatori prodotti dai vivai dei club, che dopo aver investito sulla formazione del giocatore sin dalla tenera età  se lo vedono portar via perché di interesse nazionale. Naturalmente l’Accademia di Tirrenia è gestita direttamente dalla federazione e nessun altro può discutere sui mezzi e sulle scelte operate, ne nessun club può crearne una propria. Ben diverso sarebbe stato fare istituire le Accademie ad ogni comitato regionale, in cui far rifinire i giovani giocatori provenienti dai club locali, che una volta tornati alla loro squadra avrebbero contribuito a far crescere tutto il movimento. Il paradosso è che in Italia abbiamo un grande movimento legato al minirugby e all’insegnamento nelle scuole, basato essenzialmente su volontari, che cresce numericamente ogni anno, ma al contempo abbiamo anche un’indice altissimo di abbandoni da parte di giovani sui ventanni che non trovano più stimoli nell’attività agonistica, specialmente perché i club sono ormai costretti a organizzare riffe e lotterie per arrivare a fine campionato e hanno ben pochi incentivi, non solo economici, e sfide da offrire ai propri giocatori.

Con l’ingresso di due compagini italiane, una con grandi tradizione rugbistica come il Treviso e una creata ad hoc quale quella degli Aironi, nella Celtic Legue (dal 2012 si chiama Pro 12), una sorta di coppa per club internazionali, se da una parte rappresenta una conquista per il rugby italiano dall’altra è stata un’ennesima batosta per la qualità del movimento rugbistico nostrano. Praticamente una ottantina dei migliori giocatori italiani sono stati tolti al massimo campionato italiano, l’Eccellenza appunto, impoverendolo ancora di più e abbassandone il livello tecnico, con il risultato che oggi ad una partita di Eccellenza ci sono mediamente non più di duecento spettatori. Per far partecipare le due compagini alla Celtic Legue è stato imposto dalle istituzioni internazionali alla FIR il compito di garante, in pratica deve controllare i conti, sia preventivi che consuntivi, delle due squadre e garantirne la solidità economica. E’ notizia recente lo scioglimento, dopo un lungo tira e molla con la federazione, degli Aironi perchè non avevano i requisiti economici per essere ammessi alla Celtic Legue. Una vicenda che ha coinvolto anche i giocatori che avanzavano diversi crediti dalla compagine, ma che alla fine si erano accordati per un rientro rateizzato arrivando a ridursi lo stipendio, al pari di qualsiasi lavoratore,  pur di continuare a esistere e ad avere un contratto. Una federazione lungimirante avrebbe dovuto controllare i bilanci dell’anno precedente intervenendo per tempo e non solo all’ultimo momento. Comunque, davanti al dato di fatto, la FIR avrebbe potuto porsi come reale garante, che è poi il suo ruolo, dando agli Aironi il respiro necessario per riprendersi, ma ciò non è avvenuto. Ora la federazione ha deciso di fare una propria compagine con sede a Parma, città da cui proviene anche il suo presidente Dondi che è stato anche presidente della squadra locale per tre mandati, che si affiancherà a quella del Treviso in Celtic Legue. Nel frattempo ha chiesto agli allievi dell’Accademia di Tirrenia di firmare un contratto, entro il 30 giugno, per cui di fatto la federazione diventa il “procuratore” degli stessi per due anni. Molti non vogliono accettare, e anche senza pressioni dirette, diventa difficile per questi ragazzi di 18-19 anni pensare di inimicarsi la federazione, rischiando magari la convocazione in nazionale. Non basta, secondo le nuove disposizioni, i ragazzi che finiscono il biennio di formazione presso l’Accademia di Tirrenia non potranno trasferirsi all’estero, salvo nulla-osta della Commissione Federale e anche se volessero giocare per un club d’Eccellenza o di Celtic Legue nei due anni successivi al biennio dovranno chiedere il nulla-aosta alla federazione.

Il conflitto di interesse che si crea è enorme, considerando anche che dall’Accademia di Tirrenia escono teoricamente i migliori giocatori italiani per le due compagini impegnate nella Celtic Legue. E’ come se nel mondo del calcio Inter e Milan disputassero la Supercoppa per Club e una delle due diventasse proprietà della Federazione Giuoco Calcio e questa decidesse a quale squadra destinare i giovani calciatori più promettenti, selezionati e preparati da lei stessa. Roba da Garante per la concorrenza.

Nel frattempo il movimento rugbistico cerca di sopravvivere come può affidandosi più alla buona volontà dei singoli che alla federazione che ha contribuito a creare. Sembra quasi che il modello che si voglia imitare, ovviamente corretto all’italiana, sia quello delle società di footbal americano, in cui esiste una realtà sportiva impegnata nello show-sport, ricca e potente, e una federazione di squadre dilettantistiche che vive della buona volontà delle università, da noi dei club e dei singoli, nel caso americano, e che pareggia i bilanci quando ha la fortuna che un suo giovane venga scelto dai professionisti. Travolto dalla vicenda Aironi e dall’annuncio della famiglia Benetton, sponsor del Treviso, che non avrebbe appoggiato la ricandidatura di Dondi alle prossime elezioni (2012/2013), è giunto a sorpresa la sua decisione di non ricandidarsi alle prossime elezioni, comunicata attraverso i microfoni della RAI e non attraverso il portale della FIR. Oggi iniziano a candidarsi i primi pretendenti, alcuni legati alla precedente gestione, senza enunciare ancora il proprio programma, tranne Gianni Amore, siciliano, il primo a lanciare la sua sfida, oltre un’anno fa, quando ancora il potere di Dondi sembrava inossidabile. Chiunque prenda il testimone della FIR dovrà ripensare il modello di sviluppo del rugby nostrano, rinunciando ad inseguire ad ogni costo la vittoria del Sei Nazioni entro il 2015, come qualcuno si è sbilanciato, perché continuando così per allora il rugby, come lo intendevamo ieri e oggi, non ci sarà più. Gia nel 2010 Stefano Bettarello, uomo simbolo prima del Rovigo e poi del Treviso, in un’intervista diceva. “In FIR c’è gente che non conosce il rugby, si annulla dicendo sempre sì al presidente Dondi e si accontenta di un posto in tribuna al 6 Nazioni per poter dire di essere stato due file dietro al principe William». Per ridare ossigeno al movimento rugbystico italiano non sarà sufficiente sostituire un nome a quello di Dondi, chi verrà eletto dovrà ripartire ascoltando la base, investendo e ridando dignità a tutti i campionati nazionali.

di Marco Pavesi