Categoria | Società

Tradizioni e credenze popolari

Pubblicato il 22 marzo 2013 da redazione

La transizione alla genitorialità in due culture a confronto

A chi non è capitato nemmeno una volta di fare 3 passi indietro dopo che  un gatto nero ha casualmente attraversato il suo percorso, di toccare ferro per evitare una disgrazia o di credere che un evento sfortunato possa essere attribuito a quel barattolo di sale rovesciato sbadatamente per terra quello stesso giorno ? Queste sono solo alcune delle superstizioni legate alla nostra cultura, ma possiamo riscontrarne a centinaia tutti i giorni; a volte tali credenze spiegano la causa di episodi fortuiti e spiacevoli che accadono, altre illustrano le  caratteristiche salienti di una cultura lontana o sconosciuta, altre ancora possono essere frutto di una forza superiore e incontrollabile.

Una cosa hanno tutte in comune: aiutano gli esseri umani a motivare, spiegare e rendere familiare ciò che è oscuro, fuori dal loro controllo, tutti quegli eventi a cui non si può legare una causa diretta e certa. Queste attribuzioni di significato permettono alle persone di chiarire, anche se solo a livello psicologico e mentale, tutto ciò che non è causale, ma legato al caso. Ogni cultura possiede le proprie credenze e i propri riti che si differenziano in base alla necessità di comprendere quello che una specifica popolazione  ancora non conosce. Ai giorni nostri in cui inevitabilmente popoli e tradizioni diverse entrano in contatto , appare utile tenere in considerazione questa differenza di percezione dell’esistenza, in cui eventi quotidiani possono avere un impatto e soprattutto un significato differenti per ciascun individuo. Affascinante ed estremamente importante affacciarsi su usi e costumi di un paese straniero: quali credenze cela e in cosa si differiscono da quelle occidentali?

Magreb_maternitàUno sguardo sull’Africa

Nella società maghrebina tradizionale ciò che viene preso in considerazione e approfondito di una malattia contratta, non è la sintomatologia bensì il senso che essa rappresenta. Le teorie eziologiche sono enunciati culturali tesi a spiegare le cause di un determinato disturbo. Non appartengono all’individuo singolo ma gli sono fornite dalla sua cultura di appartenenza. Esse spiegano le disfunzioni biologiche come la morte o l’handicap di un bambino o del partner, quelle relazionali legate ad esempio al rapporto disfunzionale tra madre, padre e figlio e infine quelle sociali legate ad una disgrazia ricorrente in una certa famiglia o all’interno della comunità, in seguito alla nascita di un neonato. Tali teorie possono essere trasmesse all’interno della società mediante alcuni rituali come quelli della cura e del nutrimento di un figlio, attraverso la parola o l’iniziazione. Sono rese disponibili dal contesto culturale di appartenenza grazie all’intervento di un depositario del sapere come un guaritore o un veggente ,ma anche attraverso un sogno o un atto divino; il loro scopo è quello di produrre senso. Nella varietà di teorie eziologiche due in particolare risultano essere importanti ed esplicative: quella dell’ occhio e quella del tawmist. La prima si riferisce ad un momento particolare nella vita della donna: il parto e la transizione alla maternità. Nei contesti rurali del Maghreb infatti, quando una donna sta per mettere alla luce il proprio bambino, dovrà cospargere gli angoli della stanza adibita al parto di henné e sale, in modo tale da delimitarne i confini interni e tenere lontani gli jann, spiriti malevoli. Inoltre molte altre donne dovranno supportare la partoriente che necessita un forte appoggio per  far nascere il figlio. Queste presenze femminile sono chiamate co-madri  e devono sostenere la futura mamma. Esse possono sia facilitare la costituzione del rapporto madre-figlio, sia comprometterla.  Si crede che alcune tra le donne presenti, in particolare quelle mestruate, anziane o sterili, a causa delle chiare ragioni di gelosia verso la partoriente, possiedano l’occhio. Questo sembra agire negativamente sulla neo mamma e sul suo bambino disperdendosi nel latte materno. E’ quindi necessario che, prima di entrare nella stanza del parto, esse si identifichino pronunciando il loro nome poiché, rivelando la loro identità, allontanano le proprie influenze negative. Nel  caso in cui non venisse eseguito questo breve rituale, potrebbero impossessarsi dell’oggetto per loro mancante legato alla generatività: la madre, il bambinoo il loro legame. L’occhio potrebbe però essere agito anche dalla madre stessa , in questo modo verrebbero giustificati i disturbi del neonato poiché, lui e la sua figura materna instaurerebbero un legame simbiotico mortifero.

Nel sud del Marocco invece i disturbi del bambino o anche la sua morte prematura, vengono attribuiti ad un attacco effettuato attraverso un tawmist. Quest’ultimo è un amuleto utilizzato dalle donne innamorate per conquistare il cuore di un uomo. E’ composto da “sangue preso”, proveniente cioè da una persona morta di morte violenta o brutale. Questo sangue prelevato, viene avvolto nella stoffa e tenuto dalla donna interessata. L’ amuleto possiede il significato sopra spiegato poiché si pensa esista un nesso logico tra la morte e l’amore:  come la prima, anche lo stato amoroso priva l’uomo di se stesso. Anche in questo caso può essere la stessa madre a possedere un tawmist che si abbatte sul figlio, poiché la sua ricerca amorosa assume un significato mortifero per il bambino.

In molti paesi dell’Africa si sostiene che il bambino sia uno straniero. Egli infatti non è ancora considerato un umano bensì una figura di passaggio che può decidere di ripartire in ogni momento, nel caso non si trovi bene con gli esseri umani e il loro mondo. Nei contesti in cui la mortalità infantile è ancora elevata , questa credenza aiuta, non solo a giustificare le dipartite di molti neonati , ma anche a pensare che siano loro stessi a decidere di andarsene, a non voler restare. Non è un caso che il bambino venga considerato come tale solo una volta che avrà sviluppato la capacità di camminare e di parola: dopo i due anni di età infatti la probabilità di morte cala consistentemente. Anche i processi di inculturazione del neonato differiscono molto da quelli occidentali e contribuiscono a stabilire la sorte del bambino. Per molte donne africane il canale privilegiato per la cura del giovane figlio è quello del tatto. Il piccolo verrà lavato per esempio con l’acqua corrente , stando attenti a non immergerlo nella bacinella , poiché solo quella è pura. Lo sguardo e la parola al contrario non sono modalità di contatto apprezzate dalle mamme dell’Africa poiché esse celano le intenzioni malvagie del malocchio e della malalingua dei quali bisogna neutralizzare gli effetti. Si pensa inoltre che il neonato provenga dal mondo dell’ Aldilà, quello degli antenati, dal quale bisogna separarlo. Per poterlo fare, quindi per renderlo umano, è necessario , a sette giorni dalla nascita, dargli un nome, avendo compreso quale antenato fa ritorno attraverso lui e quale messaggio porta. Se quest’ultimo viene identificato correttamente si otterrà la separazione con il mondo sovraumano. Questa credenza illustra come il neonato non si identifichi inizialmente con la madre, bensì con il mondo dell’aldilà e, finché questa relazione si mantiene, possa presentare dei disturbi sia somatici che psichici. Inoltre, se gli accoglitori del bambino non dovessero regolare i conti con i nonni o gli antenati, il piccolo ne pagherebbe il prezzo.

Senza doversi soffermare troppo su quanto poco sopra descritto, appare piuttosto lampante la grande differenza esistente tra il mondo occidentale e le tradizioni africane. In primis essa risiede nelle credenze popolari che nascono e si affermano come risposta ad esigenze differenti. Sono molte le malattie a cui gli europei possono dare un nome, di cui possono riscontrare una causa e comprendere lo sviluppo. Così alcuni disturbi possono apparire nello stesso modo, con gli stessi sintomi, ma essere interpretati e curati con modalità totalmente differenti a seconda della cultura di appartenenza. Una riflessione risulta utile : ora che, attraverso l’immigrazione, tradizioni e abitudini diverse si incontrano, può esistere una stessa lingua che le metta in contatto e permetta il dialogo e la comprensione ?

La consultazione transculturale

Il passaggio alla maternità rappresenta un evento importante ed impregnato di emozioni sia per la donna e la sua famiglia, sia per la propria comunità. Forse, proprio a causa della sua salienza, può far insorgere paure ed incertezze nella neo mamma poiché, a forti aspettative, corrisponde anchel’ansia di riuscire a soddisfarle. Quando a tutto questo si aggiunge un parto lontano dalla propria terra di origine, i rischi e i timori possono essere ancora più elevati: la giovane donna migrante è distante dalla sua famiglia, non ha l’appoggio di sua madre per far fronte al grande evento e si trova immersa in una cultura molto differente dalla propria, nella quale non si riconosce e, inevitabilmente, non è riconosciuta. Proprio in queste premesse si cela il senso delle consultazioni transculturali: le donne vengono accolte da un gruppo terapeutico formato in base all’area culturale considerata e riescono in questo modo ad uscire dalla solitudine e riaprire un dialogo con la loro storia. La consultazione può ristabilire il collegamento con le proprie tradizioni e le proprie credenze, potendo quindi affrontare i fantasmi e i timori che in queste si nascondono. Il ruolo del gruppo terapeutico non è quello di dire alle madri cosa fare o come comportarsi, bensì quello di far riemergere, attraverso la riscoperta dei significati culturali, il proprio ruolo genitoriale e dare significato al rapporto con i propri figli.

bambini terzo mondoL’obiettivo della consultazione transculturale è quello della prevenzione che, a sua volta, si può attuare a partire dalla gravidanza. E’ importante aiutare le giovani madri a investire ugualmente sul nascituro, nonostante la solitudine che sentono e in cui vivono. Possono infatti insorgere dei problemi  nella costruzione del rapporto genitori-figli legati soprattutto all’esperienza del nuovo gruppo sociale e dei suoi nuclei di senso, tutt’altro che comprensibili durante la migrazione. La prevenzione perinatale si può allora realizzare all’interno dei centri di Protezione materna infantile, nei servizi di pediatria, negli studi dei medici di famiglia e nei centri di psichiatria infantile. In tal modo è quindi possibile accogliere genitori e bambini e accorgersi se e quando sia il caso di passare ad una consultazione specializzata, in seguito al presentarsi di disturbi o disagi particolari. Ad esempio, entrare a conoscenza della credenza dell’occhio o del tawmist attraverso il racconto di una futura madre, permette di comprendere la segnalazione di una sofferenza psichica, potendo quindi impedire l’insorgenza di una patologia più grave legata alla diade madre-bambino. Questo è ciò che si può definire un lavoro di prevenzione. La consultazione transculturale si concentra infatti sulla metodologia etnopsicoanalitica che unisce l’antropologia alla psicoanalisi. Secondo  questa metodologia la cosa importate è riuscire sempre a ricostruire il contesto nel quale la sofferenza si sviluppa; in questo modo i sintomi possono essere compresi perché culturalmente decodificati. Lo scopo principale della clinica transculturale è quello di ricostruire l’ “involucro culturale” della madre per permetterle di non perdere il sostegno della sua comunità di appartenenza. Il gruppo terapeutico aiuta quindi a dare spazio alle caratteristiche culturali della madri migranti e, allo stesso tempo, facilita la loro  integrazione nella nuova società in cui si trovano a vivere. La sua funzione è quella del mediatore che permette il passaggio dall’incontro clinico e delimitato all’area della prevenzione e dell’ascolto, a quello con un gruppo comunitario concreto nel quale poggiano le risorse familiari e sociali.

Si può osservare come la generatività e la nascita di un bambino abbiano preoccupato tutte le società che, ognuna a suo modo, hanno stabilito rituali, tabù, regole e norme per le madri, i padri e le comunità che stanno affrontando questa transizione. Quando queste prescrizioni risultano sconosciute e lontane da sé ( come nel caso della migrazione), l’inquietudine legata ad un evento significativo come il parto possono accrescere esponenzialmente. In una società in cui più culture si mescolano ed entrano in contatto può forse essere utile fare in modo che la permanenza non venga vissuta né come un esilio né come un’intrusione, ma come un semplice momento di condivisione.

di Alessandra Genta

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