Si è aperta la “caccia” alle particelle UHECR

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Per studiare i raggi cosmici, i ricercatori a bordo di un elicottero inseguono  una mongolfiera.

 

Entro il 2022, dalla Stazione Spaziale Internazionale verrà  lanciato un rivelatore UV.

Non era esattamente uno volare alla cieca, ma quasi. In una notte senza luna, lo scorso Agosto, un elicottero ha inseguito un palloncino attraverso l’oscurità, sopra un pezzo di deserto guidato solo dalle coordinate GPS del palloncino.

Matteo Rodencal , dell’Università di Alabama, a Huntsville, monitorati i segnali, ha dato le indicazioni a due Piloti di un elicottero alla deriva per 35 chilometri, 20 gradi est.”

All’interno della cabina, la visibilità era quasi assente, perché la luce doveva essere ridotta al minimo per permettere agli occhi dei piloti di adattarsi all’oscurità della notte: “Abbiamo volato più o meno nel buio completo”, ha riferito Johannes Eser, uno studente laureato in fisica presso la Colorado School of Mines, a Golden, anche lui in volo.

Perché tentare una simile impresa e perché farla al buio? Per svelare i segreti delle particelle energetiche dell’universo. La missione era una Test, una parte della preparazione per un esperimento da proporre l’anno prossimo alla NASA e che dovrà essere lanciato dalla Stazione Spaziale Internazionale (ISS).

 

Raggi cosmici ad altissima energia

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Chiamate UHECRs, queste particelle di tanto in tanto “fanno a botte” nell’atmosfera terrestre con energie fino a 50 milioni di volte quelle dei protoni accelerati.

Quando uno di questi veloci Raggi cosmici colpisce una molecola atmosferica, la collisione può generare 100 miliardi di altre particelle, un fenomeno chiamato “doccia d’aria”.

La doccia di molecole di azoto, il gas più abbondante nell’atmosfera, emette luce UV, un processo noto come fluorescenza, fornendo un modo per rilevare le UHECRs in arrivo.

Ma gli scontri sono estremamente rari;  i raggi cosmici ad altissima energia colpiscono un dato chilometro quadrato solo una volta ogni cento anni. Questo rende difficile rintracciarli. “Così o si misura un chilometro quadrato per un lungo periodo di tempo o si misura un grande zona “, dice John Krizmanic, un fisico della NASA, del  Goddard Space Flight Center Greenbelt, nel Maryland.

Il più grande osservatorio di raggi cosmici del mondo, l’Osservatorio Pierre Auger, in Argentina e il Telescopio dello Utah, stanno cercando segnali nel cielo per individuare abbastanza particelle e costruire una sorta di mappa del loro arrivo. Ma finora, non ne hanno trovati abbastanza, sufficienti per riuscire a identificare una fonte fisica dalla quale i raggi potrebbero essere sparati attraverso lo spazio.

Per ampliare il campo di osservazione e aumentare la possibilità di catturare le particelle rare, i fisici vorrebbero spostare il punto di osservazione più in alto, anzi proprio sopra la Terra.

Entro il 2022, dalla ISS, dovrebbe venire lanciato un rivelatore UV, in grado di osservare le particelle UHECRs, mentre si spostano a 400 km di velocità, circa 10 volte la velocità che è stato possibile osservare, finora dall’Osservatorio Pierre Auger e da altri osservatori simili.

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Nel corso della sua missione, che durerà cinque anni, il rivelatore, Extreme Universe Space Observatory (JEM-EUSO), potrà individuare 1.000 raggi cosmici con una energia superiore a 60 miliardi di miliardi di elettronvolt, come riferisce Angela Olinto, della University of Chicago, la ricercatrice titolare della missione.

Con valori di riferimento così alti, i fisici potranno finalmente comprendere quali tipi di oggetti cosmici riescono ad accelerare le particelle fino a energie estreme.

Le gigantesche stelle di neutroni, piene di buchi neri, e gli scontri tra ammassi di galassie sono gli oggetti dell’indagine, ma sembra che nessuno di questi sia abbastanza potente per permettere un lavoro adeguato,

riferisce Eun-Joo Ahn, un membro del team Auger, al Fermilab di Batavia, nell’Illinois: “Sui raggi cosmici esistono un sacco di misteri che i fisici cercano di risolvere da molto tempo”.

 

Un osservatorio satellitare, non è mai stato tentato prima.

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Così i ricercatori utilizzando un palloncino e un elicottero, la scorsa estate a Timmins, in Ontario, Canada, hanno deciso di fare una simulazione. Hanno quindi appeso al palloncino un Rilevatore UV, del peso di circa una mezza tonnellata, ma siccome il pallone sarebbe rimasto in volo solo poche ore- un tempo troppo breve per individuare le particelle, hanno deciso di seguire il pallone con un elicottero. Per simulare la fluorescenza prodotta dagli sciami dei raggi cosmici è stato sparato un laser UV nell’aria sottostante l’elicottero in volo. La lunghezza d’onda del laser era la stessa di quella emessa dalle molecole di azoto fluorescente delle docce d’aria dei raggi cosmici; così, quando il laser ha emesso le molecole nell’aria e la luce diffusa ha raggiunto il rivelatore, la condizione era del tutto paragonabile a quella di un segnale emesso da una particella UHECR in collisione.

 

Per la “caccia” alle particelle UHECRs occorre un sacco di spazio.

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Eser, il cui compito era quello di sparare il laser, ha riportato la prima analisi dei dati di volo in Aprile, al convegno dell’American Physical Society, a Baltimora, nel Maryland.

Krizmanic, che è stato presente all’introduzione di Eser, e che sta sviluppando le possibili missioni satellitari per seguire JEM-EUSO, riferisce che i dati prodotti dalla mongolfiera sono qualitativamente molto incoraggianti. Anche Ahn ha affermato che il test è stato importante, anche perché nessuna missione spaziale ha mai osservato questo segnale di fluorescenza. Tra le altre cose, la missione spaziale dovrà tenere conto di come le nuvole possano influenzare le osservazioni, perché ad alta quota le nubi potrebbero bloccare la luce di qualsiasi doccia d’aria si verifichi al di sotto.

Ulteriori prove, utili alla progettazione della missione, comprendono un palloncino in volo, che si solleverà nei prossimi due anni, e che dovrebbe rimanere in quota per almeno due settimane, abbastanza a lungo per osservare le tracce reali lasciate dalle particelle UHECRs.

Questi test iniziali, che coinvolgono un elicottero che insegue nel buio della notte il lungo volo di una mongolfiera in pressione, potrebbero sembrare uno sforzo eccessivo per riuscire a catturare particelle cosmiche così veloci. “Ma se i fisici avessero potuto studiare queste particelle secondo le loro esigenze, allora avrebbero costruito direttamente un acceleratore come il Large Hadron Collider, con un raggio di dimensioni pari alla distanza di Mercurio dal Sole”, ironizza Eser.