Ocean Grabbing: Oceani Sotto Assedio

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imagestheunsaysfutRecenti stime condotte dalla FAO confermano un dato che viene forse fatto passare un po’ troppo in secondo piano: si sta aggravando sempre più la salute dei nostri mari e degli oceani, il manto blu che ricopre la nostra bella madre Terra rischia di non essere più così blu.

Non si tratta di una problematica meramente ambientalistica. Stiamo parlando delle milioni di conseguenze che questo fenomeno potrebbe avere a livello socio-culturale, un vero e proprio “ocean-grabbing”, che, al pari del cugino “land grabbing”, si traduce in uno sfruttamento senza limiti e senza gli effetti positivi derivanti dell’apporto di risorse economiche in termini di investimenti.

Il relatore speciale per il diritto al cibo dell’ONU, Oliver De Schutter, ha dichiarato: “A livello mondiale, le attività di pesca in mare e di pesca continentale garantiscono la sicurezza alimentare di milioni di esseri umani, ai quali apportano le proteine alimentari di qualità delle quali hanno bisogno per vivere e forniscono un mezzo di sussistenza o un guadagno. Ora, tutti sanno che questa risorsa alimentare si sta inaridendo, a causa essenzialmente di pratiche di pesca distruttive e non sostenibili e delle distorsioni provocate dalle sovvenzioni, ma anche dai cambiamenti climatici che aggravano la situazione. […] In tutto il mondo i sistemi alimentari, e gli ecosistemi su cui si basano, sono messi sotto pressione da un eccessivo sfruttamento delle risorse naturali.”

De Schutter

De Schutter

Il termine “ocean grabbing”, coniato dallo stesso De Schutter, si riferisce in particolare alla pesca intensiva (overfishing) condotta dalle grandi industrie ittiche mondiali, specialmente occidentali, che ha portato nel tempo alla formazione di oltre quattrocento zone morte in cui l’ecosistema marino non riesce a sopravvivere e scompare, così come scompaiono le barriere coralline, messe sotto assedio dalle costruzioni intensive e dall’abusivismo sulle coste. Tutto questo sta lentamente, ma inesorabilmente, portando a un impoverimento degli stock ittici, con conseguente impatto sulla sostenibilità delle attività di pesca. E’ questo quindi lo scotto da pagare per continuare a sostenere i livelli di produttività dei paesi ricchi ed emergenti, un prezzo molto alto come spesso accade: il sacrificio della natura.

Il quadro italiano

Per quanto riguardo l’Italia, invece, il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare ha illustrato quali sono le principali cause di deterioramento delle aree marine nazionali e mediterranee: “Le principali minacce che stanno mettendo a rischio specie, habitat e interi ecosistemi del nostro patrimonio naturale sono l’effetto dell’impatto delle attività umane: l’urbanizzazione, l’uso intensivo in agricoltura di fertilizzanti ricchi di azoto e fosforo e la conseguente eutrofizzazione delle acque, l’inquinamento causato dalle acque di scarico contenenti metalli pesanti e organoclorurati, la crescente espansione turistica, gli sversamenti di idrocarburi, l’introduzione di specie alloctone, il prelievo delle risorse ittiche caratterizzato da sovrasfruttamento e mancata applicazione di metodiche ecocompatibili.”

Posidonia oceanica.

Posidonia oceanica.

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Grande barriera corallina.

Le principali ripercussioni di questi abusi sono costituite da spiaggiamenti, sviluppo di specie alloctone a scapito di quelle autoctone e il degrado della Posidonia Oceanica, una pianta sottomarina che ha particolari effetti benefici sulla salute dei fondali e delle acque del bacino del mediterraneo. Per avviarne la salvaguardia, il Servizio Difesa Mare del Ministero dell’Ambiente, ha definito un piano specifico per la mappatura della Posidonia Oceanica lungo le coste del Mediterraneo, secondo il “Programma nazionale di individuazione e valorizzazione della Posidonia Oceanica nonché di studio delle misure di salvaguardia della stessa da tutti i fenomeni che ne comportano il degrado e la distruzione“.

Criticità attuali e provvedimenti

Come dimostrato da diversi studi, quasi il 50% delle aree marine risulta sfruttato o sovrautilizzato, mentre il 10% risulta ormai totalmente inaridito.

terramar_ocean_gocUn aiuto fondamentale nel contrastare questa tendenza arriva dalla Global Ocean Commision. Come riportato nei dati ufficiali della Commissione, 1.3 milioni di navi da pesca industriali pescano circa 80 milioni di tonnellate di pesce l’anno. E’ facile immaginare quali interessi possano esservi dietro queste cifre monumentali e quali nervi scoperti si potrebbe andare a toccare se si decidesse di prendere una posizione davvero risolutiva in merito. Proprio per questo è fondamentale non percepire questo problema come qualcosa di distante dalla nostra realtà quotidiana. La salute delle nostre acque, dei mari che da secoli costituiscono fonte di sostentamento e di vita per l’essere umano, meritano attenzione e rispetto.

Misure legali a livello nazionale e intergovernative sono state avviate sin dal 1982, con la costituzione della “UN Convention on the Law of the Sea”. Da allora però, i progressi tecnologici insieme all’espansione industriale hanno fatto chiudere ambedue gli occhi sullo sviluppo concreto di leggi nazionali, compromesso l’equità dei mezzi d’accesso alle aree marittime, la loro sostenibilità e cura. Adesso l’obbiettivo è quello di organizzare una nuova governance, che guidi gli obiettivi indicati trent’anni fa, ma che abbia la forza, la decisione e la lungimiranza di metterli in atto, adeguandoli agli scenari attuali.

di Michele Mione

Fonti:

http://www.globaloceancommission.org/issues/options-for-change/

http://www.greenreport.it/_new/index.php?page=default&id=18968

http://www.areemarineprotette.it/Pesca.asp

http://www.minambiente.it/home_it/menu.html?mp=/menu/menu_attivita/&m=argomenti.html|Mare.html|aree_marine_pro.html&lang=it (per uno sguardo all’Italia)

http://www.minambiente.it/home_it/menu.html?mp=/menu/menu_attivita/&m=argomenti.html|Mare.html|Tutela_della_biodiversita_marina.html|Azioni.html