Nervousnet: democrazie digitali crescono

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Frigoriferi, macchine da caffè, spazzolini da denti, telefoni e dispositivi intelligenti, tutti ora sono dotati di sensori comunicanti. In dieci anni, 150 miliardi di “cose” si connetteranno con altre cose e con miliardi di persone.

L’Internet delle cose attualmente genera volumi di dati che raddoppiano ogni 12 ore, piuttosto che ogni 12 mesi.

Sommersi da miliardi di informazioni, abbiamo bisogno di “occhiali da sole digitali”. Chi costruisce i filtri per monetizzare queste informazioni determina quali vediamo – Google e Facebook, per fare solo qualche esempio.

Molte scelte che le persone considerano proprie sono in realtà determinate da algoritmi. Tale comando a distanza autodetermina e indebolisce le responsabilità nei processi decisionali e quindi anche la società.

La Corte di Giustizia Europea, lo scorso 6 ottobre 2015, ha affermato che i paesi e le aziende devono rispettare le leggi sulla protezione dei dati europei durante il trasferimento degli stessi al di fuori dell’Unione Europea, dimostrando, così, che il nuovo paradigma digitale è già in ritardo. Per assicurare che nessun governo, azienda o persona abbia il controllo esclusivo dei filtri digitali che setacciano i dati, e in grado di manipolare le nostre decisioni, occorrono dunque sistemi di informazione trasparenti, affidabili e controllati dall’utente. Ognuno deve essere in grado di scegliere, modificare e costruire i propri strumenti di valutazione dell’informazione.

Questo è l’obiettivo del gruppo di ricerca dell’Istituto Federale Svizzero di Tecnologia di Zurigo (ETH Zurich), che ha iniziato a creare un “sistema nervoso digitale” chiamato Nervousnet, che ha lo scopo di salvaguardare la riservatezza. Nervousnet usa come sensore il network che Internet crea tra le cose, incluse quelle contenute negli smartphone, per misurare il mondo che ci circonda e costruire un bene comune di dati collettivo. Tra le tante future sfide quelle più interessanti riguardano piattaforme aperte e partecipative, un approccio che si è già rivelato vincente in progetti come Wikipedia o anche il sistema operativo open-source Linux.

 

Può un Monarca essere democratico?

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La scienza del processo decisionale è ancora lontana dall’essere riuscita a replicare la capacità umana di pensare. Tuttavia le nostre abitudini, routine e interazioni sociali sono sorprendentemente prevedibili. Il nostro comportamento è sempre più guidato da pubblicità personalizzate, da risultati statistici, sistemi di raccomandazione e tecnologie capaci di tracciare le emozioni. Migliaia di pezzi di metadati vengono sistematicamente raccolti su ognuno di noi. Aziende e governi sono sempre più capaci di manipolare le nostre decisioni, i nostri comportamenti e le nostre emozioni.

Molti politici credono che i dati personali possano essere utilizzati per indurre le persone a prendere decisioni più sane e rispettose dell’ambiente. Eppure le stesse tecnologie potrebbero promuovere anche nazionalismi, alimentare sentimenti di odio contro delle minoranze o influenzare l’esito di elezioni politiche, prendendo quindi in mano il controllo etico e democratico della società.

Infine accedendo a banche dati mondiali, contenenti tutti i sentimenti e gli interessi di porzioni importanti di umanità, si potrebbero più facilmente influenzare grandi masse di individui, scivolando in pericolose gestioni di potere del tutto simili a veri e propri totalitarismi.

Nel 1970, il Presidente cileno Salvador Allende, per ottimizzare la produttività industriale, creò delle reti informatiche. Oggi, Singapore si considera il “laboratorio social di maggior riferimento” e molti altri paesi sembrano seriamente intenzionati a copiare quel modello.

 

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Il governo cinese ha iniziato a tracciare il comportamento dei suoi cittadini. Prestiti, posti di lavoro e visti di viaggio dipenderanno dal “punteggio” che verrà assegnato ad ogni cittadino, in base alla sua storia sul web e alla sua opinione politica. Nel frattempo, Baidu – l’equivalente cinese di Google – insieme alle forze militari sta realizzando un progetto di intelligenza artificiale, che sfruttando gli algoritmi di apprendimento profondo, e basandosi sulle attività e le scelte che si fanno su Internet, sia in grado di prevedere il comportamento delle persone.

Le intenzioni sembrano buone: si spera che queste grandi moli di dati possano migliorare la governance superando irrazionalità e interessi di parte. Ma la situazione evoca anche il monito del filosofo settecentesco Kant, che affermava che a rendere felici le persone sia la possibilità di affermare le proprie idee. Ed è per questo motivo che la Dichiarazione di Indipendenza degli Stati Uniti promuove la ricerca personale della felicità.

Sperare in un “dittatore benevolo” o in un “re saggio e democratico” non può funzionare, semplicemente perché non esiste un modo per determinare un obiettivo univoco che un leader sia in grado di massimizzare in modo prevalente. Potrebbe essere il prodotto interno lordo pro capite o quello di sostenibilità, il potere o la pace, la durata media della vita o la felicità, o qualcos’altro?

La condizione migliore resta quindi il pluralismo, che garantisce una maggior tutela da rischi di vario tipo e promuove innovazione, intelligenza collettiva e benessere. Approciare problemi complessi da prospettive differenti aiuta anche le persone a far fronte a eventi rari ed estremi che solitamente possono essere molto costosi per la società come calamità naturali, blackout o crolli finanziari.

 

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Il controllo centralizzato, dall’alto verso il basso dei dati presenta, inoltre, difetti di vario tipo. In primo luogo, può subire attacchi da hacker, estremisti o criminali. In secondo luogo, a causa delle limitazioni di velocità di trasmissione dei dati e di potenza di elaborazione, le soluzioni top-down spesso non riescono ad affrontare particolari esigenze locali. In terzo luogo, manipolando la ricerca dell’informazione e intervenendo nelle scelte individuali si mette a rischio il modo di pensare della collettiva. In quarto luogo, le informazioni personalizzate creano dei filtri che isolano le persone dai pareri altrui, aumentando potenzialmente opinioni di parte e conflittualità. In quinto luogo, riducendo il pluralismo si perde in un certo senso la “biodiversità” del genere umano, che attraverso società ed economie diverse ha generato, esattamente come per gli ecosistemi, milioni di interdipendenze. Storicamente, la riduzione di diversità ha spesso comportato instabilità politiche, collassi e guerre. Infine, alterando gli spunti culturali che guidano le decisioni quotidiane della gente, si interrompe il processo decisionale, con un conseguente indebolimento della stabilità e dell’ordine sociale.

Le grandi banche dati dovrebbero, invece, venire utilizzate per risolvere i problemi del mondo e non per manipolarlo illegittimamente. L’ipotesi che avendo più dati si ottenga più conoscenza, più potere e più successo non regge. Anche se non abbiamo mai avuto così tante informazioni, di fronte a minacce sempre più globali, tra cui il cambiamento climatico, una pace instabile e una fragilità socio-economica, la capacità di agire della politica si è abbassata in tutto il mondo. Nell’arco dei prossimi due decenni si perderà circa il 50% dei posti di lavoro rimpiazzati da computer e robot che ne assumeranno i compiti. E quali benefici macroeconomici otteremo in cambio di una demolizione di capitale umano su così grande scala? E come possiamo reinventare questo 50% di economia che rimarrà inutilizzato?

I benefici della rivoluzione digitale saranno goduti soprattutto da quei paesi capaci di ottenere contemporaneamente tre fattori vincenti: affari, politica, cittadini “like 10”. Per mobilitare le idee, le competenze e le risorse di tutti, dobbiamo costruire sistemi informativi in grado di portare conoscenze e idee diverse nel loro insieme. Piattaforme online libere e reti riconfigurabili da menti umane intelligenti e da sistemi di intelligenza artificiale dovrebbero essere utilizzate per produrre un’intelligenza collettiva, in grado di affrontare le diverse e complesse sfide che in questo momento ci circondano.

 

Un Sistema Nervoso Digitale

Il progetto Nervousnet sta lavorando a questo. Inizialmente gli scienziati lo hanno usato come strumento per sperimentare l’Internet delle cose. Ad esempio, sono state studiate anonimamente le interazioni sociali, tracciando persone fisicamente vicine tra loro (dopo previo consenso informato).

Nervousnet permette ora a chiunque di misurare e analizzare gli aspetti del mondo in tempo reale. L’applicazione permette agli utenti Nervousnet di attivare o disattivare una decina di sensori che misurano per esempio, attraverso lo smartphone, l’accelerazione, la luce e il rumore. Una serie di altre funzioni vengono predisposte dai team di ricerca, circa una dozzina di gruppi tra Europa, Giappone e Stati Uniti, che vengono poi sviluppate presso l’ETH di Zurigo. Il progetto è finanziato dalla Commissione Europea, dalla Delft University of Technology nei Paesi Bassi e da sponsor privati e supportato da sviluppatori volontari. Il progetto auspica di ottenere la collaborazione e il contributo di tutto il globo, anche se alla fine, si otterranno chiaramente varianti diverse, come è già accaduto per esempio con i sistemi operativi Unix.

A differenza di altre iniziative di gestione delle cose online, solitamente capeggiate da grandi aziende tecnologiche, Nervousnet viene gestito come un “cittadino web”’, costruito e amministrato dai suoi stessi utenti. Come per Wikipedia e OpenStreetMap, le persone possono interagire con Nervousnet in tre modi. Alimentando i dati, analizzando i set di dati crowdsourcing, e condividendo i codici sorgenti e le idee. Chiunque può creare servizi e prodotti basati sui dati attraverso un’interfaccia di programmazione generica. L’obiettivo è quello di produrre benefici sociali, opportunità di business e posti di lavoro.

Esistono diverse piattaforme Internet delle cose e progetti-scientifici di condivisione dati, ma nessuno di questi ha la portata di Nervousnet. Essi si concentrano sulla raccolta di dati partecipativi; servizi di comunicazione decentrata; o analisi di grandi campioni di dati. Nervousnet è invece progettato per soddisfare tutti e tre questi obiettivi contemporaneamente e consentirà inoltre di ottenere un feedback in tempo reale nelle valutazioni dei sistemi di auto-organizzazione. Così per esempio, i semafori auto-controllati potranno autoregolarsi a secondo dei flussi di veicoli locali, riducendo la congestione urbana e superando gli attuali sistemi centralizzati.

 

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Nervousnet utilizza la memorizzazione e il controllo distribuito dei dati, in modo da resistere sia agli attacchi sia ai tentativi di manipolazione centralizzati. Poiché la crittografia dei dati non è sufficiente, sarà necessario un archivio dei dati personali sicuro per consentire a ciascun utente di determinare quali dati vuole condividere, con chi, e per quale scopo.

Tra le maggiori sfide c’è quella di riuscire ad intrigare gli utenti. Il “gioco” sarà uno degli elementi attrattivi per rendere più divertente la partecipazione, così come un sistema di micro-pagamento premierà e incentiverà la co-creazione digitale. Per gli utenti più critici, preoccupati maggiormente di un uso responsabile dei sistemi di bottom-up, Nervousnet integrerà anche sistemi di reputazione, cioè dei meccanismi di qualificazione e autogoverno gestiti dai moderatori della comunità.

Nel lungo periodo, si prevede che le misurazioni finalizzate a scopi specifici, combinate con la creazione di dati crowdsourcing, l’archiviazione e l’analisi dei dati sorpasserà l’approccio dell’analisi di grandi banche dati, oggi molto di moda.

Adriana Paolini

(da Nature, Novembre 2015)

 

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