Le città più intelligenti sono più sicure?

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Sarà vero che la tecnologia ha maggiormente esposto le città agli attacchi terroristici?

Sulla scia degli attentati di Bruxelles, il blogger francese Francis Pisani ha sollevato alcuni dilemmi per le città moderne, collegati alle minacce terroristiche che le città europee devono affrontare. Non esiste una risposta semplice a questi tipi di attacchi. Certamente la maggior parte delle misure preventive che possono essere messe in gioco impatteranno, e già sta accadendo, sulla nostra mobilità.

Tra le misure minime messe in campo una parte significativa spetta ai controlli. Questo significa che per riavere il nostro “bagaglio” dovremo  aspettare che ci venga annunciato, o dovremo metterci in fila per un tempo interminabile ai ceck-in di imbarco. Anche molte stazioni ferroviarie stanno lentamente adottando le stesse misure di sicurezza degli aeroporti. La mobilità, una delle caratteristiche più evidenti delle moderne economie, è tra le prime vittime della sicurezza.

 

smart city

 

Pisani, giornalista freelance e collaboratore di diversi giornali francesi, con un forte interesse per l’informazione digitale, ha intrapreso un’indagine mondiale, tra il 2012 e il 2014, per cercare esempi di innovazione urbana. Dal suo resoconto emergono diversi esempi di tecnologie partecipative che possono migliorare la vita della città e che si possono leggere in un e-book pubblicato dall’UNESCO.

Il sociologo e politico Jean-Louis Missika, a proposito delle Smart City ha affermato che l’umanità non ha fatto nulla di più intelligente di una città, in sé e di per sé. La domanda che ora, invece, in molti cominciano a porsi, è se le tecnologie digitali possano renderla davvero più intelligente?

 

Vancouver, Biennale, Meeting.

 

Il dilemma è, se una città è più intelligente perché ha più dati a sua disposizione o se lo diventa perché è più partecipata ovvero se sono gli stessi cittadini che ne alimentano lo sviluppo con il loro impegno cognitivo, partecipato e quotidiano?

Con il web 2.0, si è passati da un’architettura di dati a una di partecipazione.

Possono le città utilizzare le tecnologie per migliorare la sicurezza senza sacrificare la libertà di spostarsi?
Certo, ma a spese della privacy. Negli aeroporti o nelle stazioni ferroviarie, per coloro che sono disposti a sacrificare i propri dati sensibili, in alcune città del pianeta è già possibile usufruire di corsie veloci, che effettuano controlli biometrici o smart card collegate ai database delle autorità competenti che intersecano i dati sensibili con quelli elencati nei loro archivi e che, se del caso, segnalano persone sospette; anche i sistemi di sicurezza basati su telecamere e sensori hanno ormai fortemente impattato sulla privacy.

Il fatto è che chi promette più sicurezza, mobilità e privacy allo stesso tempo, non è credibile!

La mediazione tra queste esigenze dovrebbe invece diventare uno dei temi centrali del dibattito politico, ma non è neppure lontanamente percepito dall’uomo qualunque, che è ben lontano dal rendersi semplicemente conto di essere già totalmente immerso un magma tecnologico estremamente diversificato e sofisticato, che entro pochi anni dall’alto dei cieli avvolgerà l’intero pianeta.

Gli stessi funzionari che amministrano le città spesso hanno una scarsa alfabetizzazione tecnologica. Molti vorrebbero solo che le loro città fossero più “intelligenti”, ma per lo più non arrivano a comprendere fino in fondo il significato e le implicazioni di questo generico desiderata.

Le città dovrebbero avere una loro strategia autonoma, nata da una discussione partecipata, che prima cerca di capire e poi progetta una sua idea di città e sceglie la migliore soluzione per realizzarla con o senza o in parte con un sostegno tecnologico. A Lione, per esempio, la città ha deciso quello che voleva e come intendeva controllare i dati, e l’azienda IT le ha fornito semplicemente la tecnologia richiesta.

 

Sono più sicure le città intelligenti, o sono più vulnerabili, perché la loro infrastruttura diventa la porta stessa d’ingresso dei cyber criminali?
Poiché il numero di oggetti connessi aumenta, i criminali informatici hanno obiettivi più grandi e noi diventiamo più dipendenti dall’energia elettrica. Questo è un punto di vulnerabilità delle città connesse.

E d’altro canto da un internet di persone stiamo evolvendo a un internet di tutto, con miliardi di oggetti connessi, di cui solo alcuni sono veramente protetti da intrusioni, con poca consapevolezza a riguardo e scarse economie pubbliche per pagare protezioni veramente efficaci. Così o si rinuncia alla tecnologia o si corrono un bel po’ di rischi.

Spesso le telecamere a circuito chiuso sono state determinanti nell’identificare molti terroristi, responsabili di attacchi, ma solo a fatti avvenuti e quindi con un ruolo di prevenzione pressoché nullo, salvo quello di deterrente psicologico e sicuramente di intrusione pervasiva nella vita dei singoli individui.

Il punto è che una città non sarà mai sicura al 100%. Il modo migliore che resta, quindi, per proteggersi è ancora quello di rendere le comunità stesse più partecipative della vita della loro città. Se il territorio è fortemente vissuto e partecipato, è l’interazione stessa tra le persone che diviene mezzo di difesa. L’uragano Katrina e la tragedia di Fukushima, insieme alle autorità e le reti sociali sul web lo hanno dimostrato. Ci sono piattaforme di emergenza come Ushahidi, CityHero o Ma2too3a, in cui le persone condividono avvisi di pericoli, proteste, arresti, scontri e perfino cecchini. Possiamo usare Twitter e Facebook per dire agli altri che siamo al sicuro. Così le iniziative partecipative potrebbero costituire uno spunto interessante, e certamente aprono e contribuiscono a un nuovo ecosistema che richiede molta più creatività, ma non ci sono garanzie né di megliorare né di peggiorare, né le tecnologie possono darne.

Adriana Paolini

 

Linkografia

https://www.ushahidi.com/

http://cityhero.es/

http://ma2too3a.com/

https://www.campbellcollaboration.org/news-archive/news/cctv-has-modest-impact-on-crime

https://fr.wikipedia.org/wiki/Jean-Louis_Missika