Riforma Costituzionale Renzi-Boschi: pericoli e opportunità.

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votazione della camera

“La cronica debolezza degli esecutivi nell’attuazione del programma di governo, la lentezza e la farraginosità dei procedimenti legislativi, il ricorso eccessivo — per numero e per eterogeneità dei contenuti — alla decretazione d’urgenza e l’emergere della prassi della questione di fiducia su maxiemendamenti, l’alterazione della gerarchia delle fonti del diritto e la crescente entropia normativa, le difficoltà di attuazione di una legislazione alluvionale e troppo spesso instabile e confusa, l’elevata conflittualità tra i diversi livelli di governo: sono, questi, solo alcuni dei sintomi della patologia che affligge il sistema istituzionale italiano da troppi anni e per la cui rimozione sono necessari profondi interventi di riforma.”

 

Con queste parole, contenute nella relazione al Senato che accompagna la Riforma costituzionale che ci troveremo a votare con ogni probabilità nel prossimo autunno si vuole mettere in risalto il contesto normativo e istituzionale che avrebbe, a detta dei promotori, stimolato lo studio della Riforma con i contenuti che le due Camere hanno approvato definitivamente il 12 Aprile di quest’anno, col voto a maggioranza assoluta dei componenti della Camera dei deputati che ha seguito quello del Senato raggiunto in data 20 gennaio 2016.

La Riforma, il cui scopo originale doveva essere il superamento del Bicameralismo perfetto, non è che il risultato di un ventennio in cui tematiche principali dello scenario politico nazionale sono stati il federalismo e il rafforzamento dei poteri del Presidente del Consiglio con un rafforzamento della centralità del Governo nel panorama istituzionale del Bel Paese. Infatti, questo è soltanto l’ultimo tentativo di riforma mirata ad ottenere un Presidenzialismo più marcato a dispetto del primato della Legge e dunque del Parlamento come sancito dai padri costituenti nel testo originale in vigore dal 1948: già nel 2005 il Governo Berlusconi aveva varato un Progetto di revisione costituzionale che prevedeva un Premierato di stampo francese, un rafforzamento del potere esecutivo e una riduzione della c.d. legislazione concorrente delle Regioni con alcune materie che sarebbero tornate di competenza esclusiva statale contrariamente a quanto sancito dalla riforma del Titolo V della Costituzione del 2001. Questo progetto, approvato dalle Camere, fu rigettato dagli elettori che col Referendum del 25-26 giugno 2006 espresse la volontà di impedire l’entrata in vigore della Riforma: il 61.7% dei votanti (su un’affluenza complessiva del 53.7% degli elettori) votò NO.

La Riforma Renzi-Boschi inoltre, come si evince dal testo completo della lunga Relazione al Senato, propone una nuova Riforma del Titolo V e questo evidentemente è un altro punto in comune con la proposta del Governo Berlusconi che pure la base dell’attuale PD aveva senza sosta osteggiato dieci anni fa, tanto quanto lo stesso presidente di Forza Italia sta (in un ennesimo slancio di “opportunismo” elettorale) criticando la riforma attuale. A tutto questo andrebbero aggiunte le non poche riserve di coloro i quali hanno destato dubbi di legittimità di una legge di riforma Costituzionale approvata da un parlamento eletto con una legge elettorale (il noto Porcellum) dichiarata illegittima dalla Corte Costituzionale con la sentenza 1/2014; questa pur non rendendo illegittimo a tutti gli effetti il Parlamento così costituito (esso è infatti “organo necessario e indefettibile” ricorda la Corte Costituzionale nella sentenza citata) sicuramente sottrae legittimazione politica e sociale ad uno strumento del Popolo eletto senza il Rispetto della Legge Fondamentale dello Stato.
Per non parlare di una regola aurea non scritta che vorrebbe che il Governo fosse estraneo alla partecipazione a revisioni della Costituzione, in ossequio ad una dichiarazione di Piero Calamandrei (uno dei più illustri e celebri Padri Costituenti): “Quando l’assemblea discuterà pubblicamente la nuova Costituzione, i banchi del governo dovranno essere vuoti; estraneo del pari deve rimanere il governo alla formulazione del progetto, se si vuole che questo scaturisca interamente dalla libera determinazione dell’assemblea sovrana”. Ammonizione che risulta chiaramente dimenticata, vista la paternità del Progetto e le modalità della sua approvazione a colpi di maggioranza. Tutto ciò potrebbe ben essere autonomo tema di discussione, ma non è il caso di dilungarsi sull’argomento in questa sede.

Il testo della Riforma consta di ben 41 articoli che interessano, modificano o sostituiscono integralmente all’incirca altrettanti articoli della Costituzione (poco meno di 1/3 del totale) e sostanzialmente è riassumibile in almeno 8 punti fondamentali:

  1. Superamento del bicameralismo paritario. Titolo I della Seconda Parte della Costituzione.
    Il nuovo “Senato delle Autonomie” non avrà più piena potestà legislativa ma verrà ridotto nel numero dei suoi membri, che da 315 passeranno ad un massimo di 100 Senatori, di cui “novantacinque senatori [sono] eletti dai Consigli regionali e dai Consigli delle Province autonome (74 tra i propri componenti e 21 fra i sindaci dei Comuni dei rispettivi territori)”; tale elezione si svolgerà “con modalità stabilite da una legge bicamerale e dovrà avvenire in conformità alle scelte espresse dagli elettori per i candidati consiglieri regionali in occasione del rinnovo dei medesimi organi”.Da questo punto di vista, da più parti sono state mosse critiche in virtù del fatto che non è chiaro il riferimento a un’elezione che, essendo vincolata dalle scelte espresse dagli elettori, risulterebbe perlopiù superflua nonché in violazione del principio ribadito dalla Corte Costituzionale anche nella sentenza n. 1 del 2014 (dichiarativa dell’incostituzionalità del Porcellum), per cui “la volontà dei cittadini, espressa attraverso il voto (…), costituisce il principale strumento della volontà popolare” e che, attraverso “la rappresentatività dell’assemblea parlamentare…si esprime la sovranità popolare”. In sostanza, secondo illustri costituzionalisti quali Alessandro Pace e Lorenza Carlassare, docenti di diritto costituzionale nelle Università La Sapienza e Padova, sarebbe violato niente di meno che l’art. 1 della Costituzione, che sancisce il principio della Sovranità popolare il quale appunto con l’elezione indiretta di una Camera dotata di (seppur limitati rispetto ad ora), poteri legislativi, non sarebbe rispettato.

    Inoltre i membri del Senato saranno rappresentanti delle istituzioni territoriali e non più della Nazione, onere e onore che invece spetterà solo agli Onorevoli appartenenti alla Camera dei Deputati; per il resto rimarranno equiparati ai membri della Camera sotto ogni aspetto se non per l’indennità di mandato che spetterà soltanto a questi ultimi (del resto i Senatori percepiranno comunque quella relativa alla loro carica nelle istituzioni territoriali da cui provengono).

    Verranno rese obbligatorie all’interno dei regolamenti parlamentari norme in garanzia delle minoranze parlamentari e viene espressamente sancito che leggi elettorali dovranno promuovere l’equilibrio tra donne e uomini nella rappresentanza.

    Il superamento del bicameralismo però, passa soprattutto dalla cancellazione del rapporto di fiducia tra il Senato ed il Governo (che invece permarrebbe per la Camera) e dal nuovo modello di partecipazione della Camera rappresentativa delle Istituzioni territoriali al procedimento legislativo:
    in breve sintesi, pur permanendo in capo ai Senatori il potere d’iniziativa legislativa, l’esame dei progetti di legge sarà avviato dalla Camera dei deputati, che, dopo la prima lettura, trasmetterà al Senato il testo risultante dall’esame svolto, esame che oltre a poter essere del tutto eventuale (deve essere richiesto da almeno 1/3 dei membri), potrà essere del tutto inutile in quanto sarà la Camera ad avere la parola definitiva su eventuali proposte di emendamenti in sede di approvazione definitiva; sparisce quindi la c.d. Navetta parlamentare.
    Il Bicameralismo paritario si avrebbe soltanto nel ristretto ambito delle leggi di revisione costituzionale e quelle costituzionali, oltre ad alcune leggi del tutto tipiche e tipizzate che spettano in pari misura anche al Senato in virtù della sua natura e composizione.

  2. Procedimento Legislativo
    Viene introdotto l’istituto del c.d. “voto a data certa” attraverso il quale l’Esecutivo può chiedere alla Camera dei deputati che un disegno di legge evidentemente essenziale per l’attuazione del suo programma sia iscritto con priorità all’ordine del giorno e sottoposto a votazione entro 70 giorni, anche se ciò non può avvenire nel caso di leggi bicamerali, leggi elettorali, leggi di autorizzazione alla ratifica dei trattati internazionali, leggi che richiedono maggioranze qualificate.
    Questo, a detta dei critici, risulta un evidente strumento di prevaricazione della volontà dell’esecutivo su quella della Camera rappresentante del Popolo, soprattutto grazie alla totale discrezionalità consentita al Governo per l’attivazione della procedura, che come abbiamo visto in particolare in occasione dell’approvazione dell’Italicum (che non per nulla è considerato un “perno della riforma” da Pace e Carlassare) ben si presterebbe ad essere accompagnata dal sostanziale ricatto dell’apposizione della fiducia sulla legge da approvare.Infine, per la deliberazione dello stato di guerra, che spetterà alla sola Camera dei deputati, sarà richiesta la maggioranza assoluta anziché quella relativa.
  3. Istituti di democrazia diretta e strumenti di partecipazione.
    Viene modificato il numero di firme necessario per le leggi di iniziativa popolare che passerà da cinquanta a centocinquantamila, pur prevedendo maggiori garanzie per la conclusione del loro esame parlamentare al fine di rendere il loro impatto più incisivo.E, norma che più di tutte forse desta sospetti e perplessità, per quanto riguarda i referendum abrogativi, le firme necessarie per la richiesta di referendumresteranno 500mila, con il quorum di partecipazione del 50% più uno degli aventi diritto, ma, nel caso in cui le firme raccolte dai promotori per la proposta di referendum siano almeno 800mila il quorum di partecipazione si abbasserà invece alla maggioranza dei votanti dell’ultima tornata elettorale consentendo in sostanza a una maggioranza abilmente manipolata ed ignara di abrogare qualsiasi legge superando eventuali impasse della Camera.
  4. Novità in merito alla Presidenza della Repubblica. Titolo II
    Per quanto riguarda l’elezione del Presidente della Repubblica, a essa non parteciperanno più i 58 Rappresentanti delle Regioni, ma, anche in questo caso opportunamente, per favorire la coesione sulla scelta di una figura che dev’essere prima di tutto rappresentante dell’Unità Nazionale e Garante della Costituzione, vengono innalzati i quorum necessari alla sua elezione:
    non più maggioranza dei 2/3 per le prime due sedute e maggioranza assoluta semplice nelle sedute seguenti, bensì, ferma restando la maggioranza dei 2/3 dell’Assemblea nelle prime 3 votazioni, dal quarto scrutinio sarebbe necessaria la maggioranza dei tre quinti dei componenti e, dal settimo, la maggioranza dei tre quinti dei votanti.
    Infine il Capo dello Stato potrà sciogliere la Camera dei Deputati (non più il Senato) e potrà essere sostituito nell’esercizio delle sue funzioni dal presidente della Camera dei Deputati, che diventerà a tutti gli effetti la seconda carica dello Stato in vece della Presidenza del Senato.
  5. Nuova Riforma del Titolo V della Costituzione
    La riforma prende atto del fallimento sotto vari aspetti dell’impianto della l. Costituzionale 3/2001 che aveva modificato la ripartizione delle competenze Stato-Regioni di fatto cancellando le competenze concorrenti che da questa erano state introdotte e assegnando definitivamente alla competenza esclusiva Statale in materie che vengono ritenute essenziali per il raggiungimento “dell’uniformità di regolazione su tutto il territorio nazionale ai fini del superamento delle diversità territoriali e delle relative debolezze strutturali.”
    Restano come clausole di chiusura del sistema la c.d. “clausola di residualità” che attribuisce alle Regioni la competenza legislativa in materie non riservate alla competenza esclusiva dello Stato indicate in via esemplificativa e la c.d. “clausola di salvaguardia” che consente l’intervento dello Stato anche in materie di competenza esclusiva delle Regioni laddove vi sia necessità di tutela dell’unità giuridica o economica della Repubblica o dell’interesse nazionale.Con l’aggiunta di un nuovo comma all’art. 116 si consente la concessione tramite legge ordinaria (ed anche su richiesta delle stesse) di forme particolari di autonomia relative ad alcune materie a Regioni a Statuto Ordinario purché il loro Bilancio sia in pari.

    Ed infine, sempre nell’ottica di favorire una uniformità normativa e la parificazione degli enti statali viene introdotta una riserva alla legge statale per la definizione degli indicatori di costi e fabbisogni standard, quale base di riferimento per promuovere condizioni di efficienza nello svolgimento delle funzioni di Comuni, Città metropolitane e Regioni.
    Come si nota non viene fatto cenno alle Province che, dopo anni di progressivo indebolimento, scompaiono anche dal testo Costituzionale per lasciare posto alle sole Città Metropolitane come enti dotati di potestà regolamentare.

  6. Garanzie costituzionali.
    Sicuramente apprezzabile è l’introduzione del Ricorso Preventivo alla Corte Costituzionale per lo scrutinio sulle leggi elettorali prima della loro entrata in vigore che, tanto opportunamente quanto in maniera sorprendente viene consentito anche per la Legislatura corrente.
    Un terzo dei membri della Consulta sarà nominato come nel testo attuale dalla Camera dei Deputati e dal Senato che però potranno eleggere rispettivamente tre e due Giudici; norma che invece ha destato delle perplessità in virtù della difficoltà di rinvenire la ratio di far nominare 3 soli giudici alla Camera oltre a veri e propri dubbi di legittimità costituzionale dovuti alla concreta possibilità che il cumulo delle cariche di Presidente del Consiglio e di Segretario di partito – dice il prof. A. Pace nella sua Relazione a Cosmopolitica del 20/2/2016 – “consent[a] al Premier di influire sulle organizzazioni periferiche di partito e quindi sui consigli regionali e, transitivamente, sulle decisioni del Senato.”
  7. Abolizione del CNEL
    Viene abrogato l’art. 99 della Costituzione, riguardante il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro, organo di consulenza delle Camere e del governo che attualmente gode dell’iniziativa legislativa e può contribuire all’elaborazione della legislazione economica e sociale.
  8. Riduzione dei costi
    Questo punto viene sottolineato quasi con orgoglio nella relazione del Governo e si sostanzia nella limitazione degli emolumenti dovuti ai consiglieri regionali che saranno equiparati quello del sindaco del capoluogo di regione e, infine, nel divieto di erogazione di rimborsi o analoghi trasferimenti monetari con oneri a carico della finanza pubblica in favore dei gruppi politici presenti nei Consigli regionali, oltre alla già citata “gratuità” del mandato di Senatore.

 

Per concludere usando nuovamente le parole del Prof. Pace, la riforma “privilegia la governabilità sulla rappresentatività” in barba all’articolo 1 della Costituzione senza essere dotata dei necessari contrappesi e poteri di controllo ed è talmente ampia, colma di novità tanto positive in alcuni casi, quanto negative in altri, da rendere opportuna in nome di omogeneità e chiarezza almeno una seria riflessione sulla possibilità di spacchettare il quesito referendario che pure è una soluzione contraria alla prassi e a norme consolidate della Corte Costituzionale.
Ciò consentirebbe da un lato la possibilità di un’ancora di salvataggio per Renzi, qualora la Riforma non dovesse perdere su tutta la linea (cosa che con un voto diviso su più punti sarebbe meno probabile) e dall’altro un effettivo rispetto dei cittadini che hanno il diritto di fare una scelta razionale e dettata da una riflessione che possa essere logica, coerente e non dettata da semplice campanilismo.

di Alberto Corsaro

 

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