Categoria | Cultura

Il bacio della donna ragno

Pubblicato il 30 marzo 2016 da redazione

El escritor argentino Manuel Puig foto Museo del Cine

Manuel Puig

 

Se è vero che tutte le storie cominciano da qualcosa, dovendo definire l’inizio di questa, potremmo dire che prenda le mosse partendo da un altro racconto, che in apertura è già quasi a metà.
Il lettore, dunque, si trova all’improvviso nei panni fastidiosi di uno spettatore che arriva a teatro tardi, quando lo spettacolo è iniziato da qualche minuto. Basta prendere posto nel buio, però, per lasciarsi rapire.
Un foulard che vola leggero, sollevando un poco di polvere e trasformando un soffitto scrostato in un rapido gioco di fiori e stoffa. All’improvviso le mura scompaiono, si intravedono gli occhi da gatto di una donna, verdi, e in lontananza si sentono dei passi felpati, celati dietro alla furia impaziente di una voce che si anima all’idea di raccontare qualcosa che possa anche solo per poco distogliere dalla realtà.

Luis Molina sta appollaiato sul letto, avvolto nella sua vestaglia di raso di seta color pastello, guarda nel vuoto cercando di ricordare quel film  sentimentale che lo aveva tanto colpito, eppure sembra che non gli interessi davvero riportare alla mente il filo narrativo della vicenda, quel che conta è volare col pensiero al di là della finestra ed attraversare quel cielo a quadretti che oltre le sbarre fa intravedere un profilo lontano di luna e di stelle.
Una condanna infamante e un peso sul petto che lo costringono a giocare con favole e piume per non soffermarsi troppo a disperarsi, col viso contro al muro, per aver lasciato a casa l’unica donna della sua vita, che, come tutte le madri, china il capo, ma col cuore lo perdona sempre.
Dall’altra parte della cella un volto basso, coperto di barba, con occhi scuri e segnati per sempre dall’aver visto tanti compagni perdere la vita per un ideale, lo stesso che brucia nel petto di un uomo che, costretto a fermarsi, si contorce nell’accettazione della propria impotenza.

Valentìn Arregui è un rivoluzionario marxista, che ha dedicato la propria vita alla lotta ed è stato arrestato per attività sovversiva. Ha occhi stanchi e intrisi di realismo, in cui non resta molto spazio per i giochi o le favole. Di giorno studia, medita, si tormenta al pensiero delle ingiustizie e di tutto quello che c’è fuori dalla prigione, ma di notte, talvolta, si concede il riposo dolcissimo dell’illusione, creata da parole sussurrate che raccontano una storia tanto abilmente da tramutarla in immagini, e si abbandona all’unico ricordo capace di rasserenarlo, l’amore di Marta, a cui ha rinunciato per seguire i suoi ideali politici.
Siamo negli anni Settanta e la miccia di una storia silenziosa e intensa è accesa tra le mura spoglie di una minuscola cella, che costringe due uomini, diversi in ogni aspetto, a vivere fianco a fianco, loro malgrado.
Poi qualcosa di inatteso accade, un trucco da prestigiatore o la potente arte di uno scrittore abilissimo ed ecco che si crea poesia e tensione partendo dalla cosa più piccola del mondo, ma che, se usata bene, può essere anche la più grande: parole.

 

Trasferitosi a Città del Messico, Puig vi lavorò ad un libro in cui si fondevano la sua passione per il mélo, la critica della repressione sessuale e la denuncia di metodi polizieschi e antiterroristici che in Argentina comprendevano non soltanto la manipolazione psicologica e il ricatto, ma la tortura e l’omicidio. Questo era il suo incipit:

– Lei si vede che ha qualcosa di strano, che non è una donna come tutte. Molto giovane, un venticinque anni tuttalpiù, con un faccino un po’ da gatta, il naso piccolo, all’insù, il taglio della faccia è… più rotondo che ovale, la fronte spaziosa, le guance pure grandi ma che poi scendono giù a punta, come i gatti.

– E gli occhi?

– Chiari, quasi di sicuro verdi, li socchiude per disegnare meglio. Guarda il modello, la pantera nera dello zoo, che prima se ne stava pacifica nella gabbia, accucciata. Ma quando la ragazza ha fatto rumore col cavalletto e lo sgabello, la pantera l’ha vista e ha cominciato a girare per la gabbia e a ruggire contro la ragazza, che fino allora non aveva trovato il chiaroscuro giusto da dare al disegno.

(https://it.wikipedia.org/wiki/Manuel_Puig)

 

Parole scarne, rapide, concitate, che, attraverso dialoghi fitti, vedono i due protagonisti della scena confrontarsi e scontrarsi, coinvolgendo il lettore nel loro progressivo scoprirsi, al di là degli stereotipi e delle apparenze, come semplici uomini, tanto differenti quanto uguali, nella speranza.
Non abbiamo artifici a cui appigliarci, leggendo Il bacio della donna ragno, non ci sono scenari ameni, speranze suggestive, barlumi di felicità sospirata che arrivi a sera a illuminare la pena di una vita che gira male.

Il lettore è solo, di fronte a due anime afflitte, che pian piano si aprono l’una all’altra, spogliandosi, pezzo dopo pezzo, dell’armatura che ne nasconde la vera identità.

Manuel Puig gioca con i personaggi con maestria sublime, crea dinamiche studiate in ogni mossa, come in una partita a scacchi: i pezzi si avvicinano lentamente alla vittoria con una precisione sottile, che è frutto di sensibilità, però, e non di tattica.

In principio abbiamo di fronte due sagome, quasi caricaturali, che rappresentano idee e modi di vivere così distanti da accentuarsi l’un l’altra nell’inevitabile confronto. Eppure, man mano che la vicenda prende corpo, in una trama che scorre lenta, ma che riesce ugualmente a tenere alta
l’emozione e la curiosità del lettore, le maschere di Valentin e Luis cedono il posto a due personalità sfaccettate, vere, che, senza banali artifici o retorica, diventano vicinissime a chi legge, grazie alla forza dirompente di una meravigliosa paura che lega entrambe.
Cade dunque la rabbia e la durezza di Valentin e si dissolve piano la frivola leggerezza di Luis, lasciando il posto a semi buoni di compassione, solidarietà, dolcezza ed empatia, che Puig innaffia diligentemente, fino a vederli sbocciare in un trionfo di emozione e tenerezza.
Sullo sfondo brilla una coprotagonista scintillante: l’immaginazione.

La debolezza, la preoccupazione e l’affanno possono trovare in un racconto ben studiato un piccolo istante di tregua, capace di concedere ai due detenuti il lusso di una risata, di un pianto liberatorio o anche solo di un momento lieto, cullato dalla bugia di un pacco di cibo mandato da qualcuno che, fuori dalla prigione, forse non li ha dimenticati.

Dedicato a chiunque non abbia paura di attraversare tutte le sfumature chiaro-scure di un’umanità pericolosa e imperfetta o anche solo a chi creda nella forza che lega imperscrutabilmente le persone tra di loro, questo romanzo offre un’esperienza di abbandono completo a una gamma eterogenea di emozioni diverse e vere.

L’autore ci regala una lettura fresca e scorrevole, che appare quasi teatrale nell’alternarsi di battute veloci tra i protagonisti, interrotte da racconti dettagliati e coinvolgenti, che, malgrado le apparenze iniziali, non distraggono dalla narrazione, ma sono essenziali per scorgere i contorni più remoti
delle personalità dei due uomini che ci sono raccontati. Attraverso i sogni e le fantasie che traspaiono dalle rimembranze e dai monologhi interiori che vedono coinvolti i personaggi, possiamo avere una nuova chiave d’accesso al loro intimo mondo interiore, che Puig ci mostra attraverso piani diversi di prospettiva.

Capolavoro di analisi psicologica e di narrativa, Il bacio della donna ragno, è stato oggetto di una pregevole trasposizione cinematografica, diretta da Hector Babenco nel 1985. La resa sul grande schermo è rimasta piuttosto fedele allo stile del romanzo: una cella, due uomini, abilmente interpretati da William Hart e Raul Julià, ed un contorno caotico e colorato di immaginazione e ricordo, che vede come protagonista, attraverso gli occhi di Valentin Arregui, la figura eterea e amata della bella Marta, interpretata da Sonia Braga.

Tra tutte spicca poi un’allegoria, che si nasconde tra le fila della storia, come fa un ragno che attende la preda al centro della propria ragnatela. Sia il lettore a scoprirla, abbandonandosi tra le parole di un racconto che difficilmente può lasciare indifferenti.

di Mariaelena Micali

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