Cambiamento climatico no stop

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Mappa dello sviluppo economico del mondo.

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Mappa dei livelli di PM2.5 mondo.

 

Il cambiamento climatico in atto non è un processo facilmente reversibile, non abbiamo oggettivamente mezzi, scienza e conoscenza per gestire a livello planetario le temperature in aumento. Le conseguenze del cambiamento investono, infatti, l’intero sistema delle precipitazioni, di cui fanno parte ghiaccio e neve, che si stanno sciogliendo, e il livello del mare che si sta innalzando. Gli eventi meteorologici e climatici estremi cui stiamo assistendo, quali inondazioni e siccità sempre più frequenti e intensi in molte regioni, stanno impattando sulla vulnerabilità degli ecosistemi, sulla salute e il benessere umano e delle altre forme viventi. Molti sono gli sforzi globali messi in atto per ridurre le emissioni, ma alcuni processi sono inevitabili e necessitano ulteriori azioni per adattarsi agli effetti che lo stesso cambiamento climatico produce.

Per evitare le conseguenze più gravi i paesi sottoscrittori della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC) si sono accordati per mantenere al di sotto dei 2 C° l’aumento della temperatura media globale rispetto a quella del periodo preindustriale. Questo significa che le emissioni globali di gas a effetto serra devono raggiungere il picco nel più breve tempo possibile e quindi diminuire rapidamente.

Le sfide che le popolazioni dell’intero pianeta stanno affrontando non hanno precedenti in termini di clima e ambiente. Tuttavia, si è ancora in tempo per adottare misure decisive che possono invertire alcune tendenze negative, per ridurre al minimo i danni, ripristinare ecosistemi cruciali e proteggere ciò che abbiamo. Per ottenere un processo, nel tempo, sostenibile si devono considerare l’ambiente, il clima, l’economia e la società come parti inscindibili della stessa entità.

I più ottimisti penseranno che i cambiamenti ambientali relativi alle terre emerse, agli oceani, all’atmosfera, al clima e più in generale alla vita sulla Terra sono sempre stati una costante del pianeta. Gli attuali cambiamenti, tuttavia, sono diversi da quelli passati per le cause e i fattori che li stanno determinando e per i ritmi e la portata che li stanno sospingendo e che non hanno precedenti. Tempeste, ondate di calore, inondazioni e siccità, che si verificavano una volta ogni cento anni, sono oggi la nostra nuova quotidianità, di portata tale da rischiare di incidere sul futuro delle nostre specie e la cui responsabilità va ricercata proprio nell’operare, passato e presente, dell’uomo.

 

Stiamo perdendo Biodiversità

La ricerche scientifiche attestano che la vita sulla Terra sta registrando una perdita di biodiversità a un ritmo insostenibile. Ogni anno, molte specie si estinguono a causa del continuo inquinamento, che frammenta e distrugge i loro specifici habitat. Il diffuso utilizzo di pesticidi ha comportato una drastica riduzione di alcune specie, come api e farfalle, mettendo in crisi l’impollinazione, il processo più importante e fondamentale per il benessere dell’intero ecosistema e gli inquinanti prodotti dalle attività economiche, che si accumulano nell’ambiente, hanno ridotto, e riducono ogni giorno, la capacità degli ecosistemi di rigenerarsi e fornire i servizi vitali di cui piante, animali e persone necessitano per vivere. Senza troppo esagerare si potrebbe sospettare che vi sia più biodiversità sui tetti di grandi città come New York che nelle aree rurali, perché le monoculture intensive, hanno contribuito a livellarle.
Numerose ricerche scientifiche, confermano ormai da tempo che i nostri sistemi di consumo e di produzione non sono sostenibili. Il nostro modello economico lineare, che trasforma le materie prime in prodotti, che vengono poi consumati e quindi eliminati, non è infatti compatibile con quello naturale. Ogni rifiuto in natura è cibo e risorsa di qualche forma vivente e questo sistema, che non avanza nulla, si chiama appunto catena alimentare, e sinteticamente implica che qualsiasi prodotto o scarto della natura, nel suo insieme, è cibo per qualche membro della grande famiglia dei viventi della Terra. La nostra economia, invece, non solo determina un aumento di inquinamento e di produzione di rifiuti, ma anche una concorrenza globale per le risorse naturali disponibili per l’intero sistema e dallo stesso generate. Gli unici che prendono, consumano, avanzano ciò che non serve a nessuno e non ri-immettono nulla nel sistema siamo noi.
Le reti globali, altamente tecnologiche, stanno inoltre contribuendo a diffondere più rapidamente sia i materiali, sia i prodotti sia gli inquinanti, senza che vi siano ancora delle Istituzioni Etiche Internazionali atte a regolamentare e proteggere la vita di questo pianeta, come un tutto globale, patrimonio dell’intera Umanità e di tutte le forme viventi, che non hanno affatto voce in capitolo.
Siamo ancora fermi a un’economia colonialista, a caccia di risorse, in giro per il mondo, per migliorare sempre di più il nostro benessere e stile di vita, ma che ancora oggi, come ai tempi del più aspro colonialismo, non rispetta niente e nessuno e soprattutto non si accorge che da qualche parte ha fallito, perché non pensato né al prima né al dopo, ma solo a un presente, dominato dalle regole della Borsa, dell’azionariato e del denaro, l’entità più astratta, impersonale, aliena che esista sulla terra e totalmente sconosciuta all’intero ecosistema.
Borsa e azionariato hanno dettato l’agenda delle priorità, degli stili di vita, delle politiche economiche e frammentando la proprietà in tante piccole azioni, hanno fintamente democraticizzato la proprietà e più infidamente lo sfruttamento del pianeta, mitigando così sul nascere ogni possibile obiezione… e se la responsabilità è di tutti allora non è più di nessuno. Un’azionista piccolo, però, non è meno responsabile di uno grande. Diciamo che quello grande ha trovato una buona copertura etica al suo operare.
Anche i livelli di reddito, incidono notevolmente tra e all’interno dei diversi paesi, regioni e città, modulando una diversa esposizione al cambiamento climatico. Basta anche solo osservare in Europa, dove il tenore di vita supera di gran lunga la media mondiale, come alcune comunità e gruppi di persone che vivono con redditi inferiori alla soglia di povertà siano più vulnerabili ai rischi ambientali. Per queste persone, infatti, soprattutto anziani e bambini, la probabilità di essere esposte ad agenti atmosferici inquinanti, a inondazioni, in case carenti di isolamento termico sufficiente a fronteggiare temperature estreme, è maggiore.
E se comunque le tendenze attuali dovessero continuare, indipendentemente dal paese e dal livello di reddito, le generazioni future si ritroveranno a dover affrontare temperature ed eventi meteorologici sempre più estremi, una tragica riduzione di biodiversità, una maggiore scarsità di risorse e i più elevati livelli di inquinamento, di cui l’uomo abbia memoria. Semplificando, se prima potevano contare su un mazzo di chance sufficientemente grande e variegato da contenere una qualche soluzione capace di adattarsi ai cambiamenti fisiologici o accidentali della Terra, cioè qualche buona probabilità di selezione naturale pro-continuazione della specie, oggi quel mazzo si è ridotto. Se a questo si aggiunge che il tipo di produzione massiccia, intensiva, ai quattro angoli del pianeta, decide a priori cosa selezionare/salvare e cosa minimizzare/eliminare, all’insegna della maggior possibilità di successo (economico), la probabilità di inversione del processo è tanto più scarsa quanto più ci si avvicina ad un’economia del profitto.
In quest’ottica non sorprende che migliaia di giovani europei, e in molte altre parti del mondo, stiano rivendicando il diritto ad un futuro vivibile su questo pianeta, che rischia invece di vaporizzarsi in miliardi di coriandoli di banconote, esortando i responsabili economici e politici a mitigare rapidamente i cambiamenti climatici in atto.

 

La possibilità di creare un futuro diverso
Negli ultimi 40 anni l’Europa ha attuato politiche intese ad affrontare problemi specifici, quali l’inquinamento atmosferico e idrico, raggiungendo talvolta notevoli risultati: i cittadini europei possono beneficiare di aria e acque di balneazione più pulite; si ricicla una maggiore quantità di rifiuti urbani; il numero di aree terrestri e marine protette mostra un continuo incremento; i livelli di emissioni di gas a effetto serra nell’Unione europea risultano ridotti rispetto a quelli del 1990; sono stati investiti miliardi di euro a favore di città più vivibili e mobilità sostenibile; l’energia generata da fonti rinnovabili è aumentata in modo esponenziale, ecc.
Ora anche le nostre conoscenze e la nostra comprensione dell’ambiente si sono ampliate, sottolineando il fatto che le persone, l’ambiente e l’economia formano tutti parte dello stesso sistema. Sin dalla sua istituzione, avvenuta 25 anni fa, l’Agenzia Europea dell’Ambiente cerca di correlare e sviluppare questi ambiti di conoscenza allo scopo di migliorare la nostra comprensione sistemica. Le persone non possono vivere bene se l’ambiente e l’economia versano in cattive condizioni. Le tensioni sociali continueranno ad essere alimentate dalla disparità nella ripartizione dei benefici, quali ricchezza economica e aria più pulita, e dei costi, che includono l’inquinamento e una perdita della resa dovuta alla siccità.
Si tratta di fatti difficili da accettare. Allo stesso tempo, può risultare difficile modificare le abitudini e le preferenze dei consumatori nonché le strutture di governance ben consolidate. Eppure, malgrado l’entità del compito, è ancora possibile costruire un futuro sostenibile. Ciò implica un’interruzione delle pratiche attuali quali, ad esempio, il taglio delle sovvenzioni dannose per l’ambiente, l’eliminazione graduale e il divieto di tecnologie inquinanti, favorendo nel contempo alternative sostenibili e supportando le comunità colpite dal cambiamento. Un’economia circolare a zero emissioni di carbonio può ridurre l’impatto sul nostro capitale natura e limitare l’aumento delle temperature globali. Cambiare rotta significa modificare le nostre abitudini, i nostri comportamenti, come le per esempio le modalità di spostamento e le abitudini alimentari. Le conoscenze per reggere il passaggio verso una sostenibilità di lungo termine ci sono e ora si può contare su un crescente sostegno pubblico, ma da parte nostra occorre procedere rapidamente a modificare in prima persona quelle abitudini che non vanno nella direzione della vita del sistema di cui siamo parte. Quante isole di plastica devono ancora formarsi per capire che possiamo andare a far la spesa attrezzati di borse proprie e rinunciando all’insalatina già pulita mono-porzione e mono-confezione.

 

Effetti e vulnerabilità nell’area europea

Il maggior aumento di temperature, nell’eurozona, si registrano nell’Europa meridionale in estate e nella regione artica in inverno e le precipitazioni nell’Europa meridionale diminuiscono e aumentano al nord.

Gli aumenti d’intensità e di frequenza delle ondate di calore e delle inondazioni, aumenta la diffusione di alcune malattie infettive e della concentrazione di pollini che può influire negativamente sulla salute umana.

Il cambiamento climatico influisce anche su molte specie animali e vegetali, modificando i loro ecosistemi, e spingendoli forzatamente verso nord e a più alta quota.

Anche le conseguenze economiche, in settori quali l’agricoltura, la silvicoltura, la produzione di energia, il turismo e le infrastrutture in generale, non si fanno mancare, e questa leva speriamo sia abbastanza forte da intensificare ed accelerare gli sforzi nella direzione migliore per la salvezza dell’intero sistema.

Le regioni europee, comprese le aree urbane, più vulnerabili includono:

– l’Europa meridionale e il bacino mediterraneo;

– le aree montuose;

– le zone costiere, i delta e le pianure alluvionali;

– l’estremo nord Europa e l’Artico.

Per prevenire o ridurre al minimo possibile l’ impatto, occorrono strategie e azioni a livello locale, nazionale, transnazionale ed europeo. L’integrazione delle politiche delle diverse aree è essenziale e sta già avvenendo con esiti positivi, come la gestione delle risorse idriche e degli ecosistemi, la riduzione dei rischi da catastrofi, la gestione delle zone costiere, lo sviluppo agricolo e rurale, i servizi sanitari, la pianificazione urbana e o sviluppo regionale. Le azioni integrano misure tecnologiche, misure basate sugli stessi ecosistemi e misure che promuovono cambiamenti comportamentali, estese a tutta l’eurozona.

 

Politiche UE per il clima e l’energia 2030

Il quadro per il clima e l’energia 2030 fissa tre obiettivi principali da conseguire entro l’anno indicato:

– una riduzione almeno del 40% delle emissioni di gas a effetto serra (rispetto ai livelli del 1990)

– una quota almeno del 27% di energia rinnovabile

– un miglioramento almeno del 27% dell’efficienza energetica

Il quadro è stato adottato dai leader dell’UE nell’ottobre 2014 e si basa sul pacchetto per il clima e l’energia 2020. Inoltre, è coerente con la prospettiva a lungo termine delineata nella tabella di marcia per passare a un’economia competitiva a basse emissioni di carbonio entro il 2050, nella tabella di marcia per l’energia 2050 e con il Libro bianco sui trasporti.

 

Emissioni di gas a effetto serra – una riduzione pari ad almeno il 40%

Il quadro prevede l’obiettivo vincolante di ridurre entro il 2030 le emissioni nel territorio dell’UE di almeno il 40% rispetto ai livelli del 1990.

Ciò consentirà all’UE di adottare misure efficaci sul piano dei costi, funzionali al conseguimento dell’obiettivo a lungo termine, di ridurre le emissioni dell’80-95% entro il 2050, da parte del gruppo dei paesi industrializzati e di fornire un contributo equo all’Accordo di Parigi. Per raggiungere l’obiettivo di una riduzione almeno del 40% i settori interessati dal sistema di scambio di quote di emissione (ETS) dell’UE dovranno ridurre le emissioni del 43% (rispetto al 2005); a questo scopo l’ETS dovrà essere riformato e rafforzato e i settori non interessati dall’ETS dovranno ridurre le emissioni del 30% (rispetto al 2005) e ciò dovrà essere tradotto in singoli obiettivi vincolanti nazionali per gli Stati membri.

 

Energie rinnovabili – aumento della quota ad almeno il 27%

Il quadro fissa l’obiettivo vincolante a livello dell’UE di portare la quota di consumo energetico soddisfatto da fonti rinnovabili almeno al 27% entro il 2030.

Efficienza energetica – aumento di almeno il 27%

Sulla base della direttiva sull’efficienza energetica il Consiglio europeo ha appoggiato un obiettivo indicativo in materia di risparmio energetico del 27% entro il 2030. L’obiettivo verrà riesaminato nel 2020 partendo da un obiettivo del 30%.

 

Benefici e Investimenti necessari

Un approccio comune durante il periodo fino al 2030 aiuterà a garantire la certezza normativa agli investitori e a coordinare gli sforzi dei paesi dell’UE. Il quadro contribuisce a progredire verso la realizzazione di un’economia a basse emissioni di carbonio e a costruire un sistema che assicuri energia a prezzi accessibili a tutti i consumatori, renda più sicuro l’approvvigionamento energetico dell’UE, riduca la dipendenza europea dalle importazioni di energia e crei nuove opportunità di crescita e posti di lavoro. Inoltre, apporta anche benefici sul piano dell’ambiente e della salute, ad esempio riducendo l’inquinamento atmosferico.

Secondo le previsioni, in media gli investimenti aggiuntivi annui ammonteranno a 38 miliardi di euro per l’intera UE per il periodo dal 2011 al 2030.

La spesa sarà in gran parte compensata dal risparmio di combustibile.

Più della metà degli investimenti necessari riguarderà i settori edilizio e terziario.

L’impegno dei paesi meno ricchi sarà relativamente più consistente in termini di percentuale del PIL, ma le conclusioni del Consiglio europeo affrontano la questione della distribuzione e comprendono misure a favore di una maggiore equità e solidarietà, assicurando al tempo stesso l’efficienza complessiva del processo.

 

I costi del sistema energetico

I costi non sono significativamente diversi da quelli che comporta il rinnovo di un sistema energetico obsoleto, in ogni caso necessario. Si prevede che il costo totale del sistema energetico nel 2030 aumenti di un valore equivalente allo 0,15% del PIL dell’UE, se gli obiettivi vengono raggiunti in modo efficiente rispetto ai costi. Nel complesso vi è uno spostamento dai costi operativi (combustibile) ai costi in conto capitale (investimenti).

La direzione generale Azione per il clima (DG CLIMA) guida le attività della Commissione europea volte a contrastare i cambiamenti climatici a livello internazionale e dell’UE.

 

La direzione generale dell’Azione per il clima (DG CLIMA)

La DG CLIMA è stata istituita nel 2010. In precedenza era la DG Ambiente a occuparsi dei cambiamenti climatici. Il suo mandato include quello di elaborare e attuare politiche e strategie per il clima, svolgere un ruolo guida nei negoziati internazionali sul clima, attuare il sistema di scambio delle quote di emissione dell’UE (EU ETS), monitorare le emissioni nazionali dei singoli paesi membri dell’UE e promuovere tecnologie a basse emissioni di CO2 e misure di adattamento.

La DG CLIMA guida le task force della Commissione nei negoziati internazionali sui cambiamenti climatici e le sostanze che riducono lo strato di ozono e coordinano la cooperazione bilaterale e multilaterale sui cambiamenti climatici con i paesi non appartenenti all’UE e attua il sistema di scambio delle quote di emissione dell’UE (EU ETS) e promuove la connessione con altri sistemi analoghi per favorire la costruzione di un mercato mondiale per lo scambio delle quote di emissione di CO2 e monitora come gli Stati membri attuano i loro obiettivi nazionali in settori non interessati dall’EU ETS (decisione sulla condivisione degli sforzi).

 

Tecnologie e adattamento

La DG CLIMA promuove lo sviluppo di tecnologie a basse emissioni di CO2 e misure di adattamento tra cui la cattura e lo stoccaggio di CO2, la riduzione delle emissioni di gas fluorurati, la diminuzione dell’uso di sostanze che riducono lo strato di ozono e le norme in materia di efficienza dei veicoli e qualità dei carburanti. Per realizziamo tutto ciò la Dg CLIMA elabora quadri normativi, che orientano lo sviluppo di tali tecnologie, e fornisce il sostegno finanziario necessario.

Adriana Paolini

 

Link utili

https://www.pattodeisindaci.eu/

https://ec.europa.eu/clima/policies/adaptation/what_it

https://www.who.int/medical_devices/global_forum/2ndgfmd_report.pdf