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Il Biologico in Italia sale, altrove invece scende

Pubblicato il 06 gennaio 2015 da redazione

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Bologico in dati

La conferma che il biologico è un modello sostenibile ci era già arrivata durante l’ultima edizione del BioFach, la grande fiera mondiale del biologico, tenutasi a Norimberga, da cui emergevano cifre piuttosto incoraggianti: un fatturato mondiale superiore ai 60 miliardi di dollari, per 37 milioni di ettari coltivati. Un trend in espansione, seppure a tassi più contenuti rispetto agli scorsi anni.

I protagonisti di questa tendenza? Nord America ed Europa, la seconda con una crescita del 6% annuo (dati aggiornati al 2012).

Nel quadro europeo, vediamo la Germania al primo posto, mentre l’Italia è il quarto mercato dell’Unione Europea per la spesa bio, con un aumento complessivo degli operatori bio del 5,4% rispetto al 2012. In Italia, la superficie coltivata secondo il modello biologico è pari a 1 317 177 ettari, circa il 10% della superficie agricola nazionale, con un aumento complessivo sempre rispetto al 2012 del 12,8%. Un settore, quello del Bio, che vale 3 miliardi di euro nel nostro Paese, contando anche le esportazioni, corrispondente a un’influenza dell’8% sul valore totale del mercato bio europeo.

Anche sul fronte interno, i consumi sono aumentati, nonostante la crisi e nonostante i costi dei prodotti talvolta lievemente superiori rispetto a quelli di prodotti provenienti da agricoltura convenzionale. La ragione di tale incremento? La diminuzione per molti prodotti del differenziale percentuale con i prodotti dell’agricoltura convenzionale. Il biologico è, quindi, diventato più accessibile.  Il consumatore bio italiano, infatti, è passato da una spesa pro-capite di 28 euro del 2011 a 39 euro nel 2014, ciononostante il dato è di molto inferiore rispetto ai 190 euro pro-capite della Germania! I prodotti bio più acquistati in Italia? Le uova, seguite da sostituti del pane e dal latte.

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Modelli a confronto: convenzionale vs biologico

Il modello di agricoltura convenzionale, sviluppatosi principalmente a partire dal boom economico, ha come  obiettivi primari  l’aumento del reddito, dei profitti e della produttività. Perciò nell’agricoltura sarà esaltata la produzione mediante la monocoltura e massimizzato lo sfruttamento dei terreni con l’uso di fertilizzanti, antiparassitari e diserbanti. Nell’allevamento, invece, si praticherà un sistema di zootecnia  intensiva, facendo vivere gli animali in grossi capannoni e nutrendoli con foraggi arricchiti con farmaci di prevenzione (il cosiddetto allevamento senza terra).

Al contrario, il modello biologico non ha come obiettivo primario il prodotto, bensì il processo di produzione volto a sostenere la salute del suolo, dell’ecosistema e delle persone.  La filosofia produttiva biologica copre in primo luogo  il settore agricolo, dove i metodi colturali (in particolare, la rotazione delle colture), biologici e meccanici vengono preferiti a prodotti chimici di sintesi e dove vengono ridotti al minimo il rilascio di residui nel terreno, nelle falde acquifere e nell’aria. L’agricoltura biologica deve servirsi unicamente di concimi di natura organica: compost, letame, pollina, guano o sovescio. Il secondo settore di interesse del metodo biologico è l’allevamento: qui  le aziende devono garantire agli animali adeguati spazi coperti, foraggi garantiti biologici e non devono in alcun modo ricorrere a pratiche quali la decornazione, la recisione della coda, dei denti o la spuntatura del becco.

Allo stesso modo, diversa sarà la filiera produttiva biologica, volta a mantenere intatte le caratteristiche delle materie di base, certificate biologiche, evitando accuratamente di mescolarle con prodotti non bio durante la lavorazione.

Quali sono le conseguenze di questi due modelli sull’ecosistema?

Partiamo dal suolo. L’eccessiva concimazione chimica dei terreni mediante l’uso di prodotti industriali artificiali e liquami impoverisce il suolo e favorisce la desertificazione. Infatti, queste sostanze danneggiano gli organismi che vivono nel sottosuolo e producono l’humus, riducendo la capacità di queste terre di trattenere l’acqua e quindi esponendole alla siccità. Al contrario, la coltivazione biologica sfrutta altri meccanismi, quali la scelta mirata dei periodi di coltivazione, mantenendo un tappeto erboso anche nei frutteti e non bruciando i residui, bensì interrandoli.

Per quanto riguarda l’acqua, liquami e concimi chimici finiscono inevitabilmente nelle acque, andando ad intaccare i microsistemi che vi abitano e portando talvolta alla “morte del lago”, ossia uccidendo specie acquatiche e portando alla putrefazione le alghe. Senza contare l’enorme dispendio di “oro blu” che una coltura intensiva richiede. I sistemi biologici, invece, utilizzano minori quantitativi d’acqua e spesso i coltivatori praticano la fitodepurazione, ossia, la depurazione delle acque mediante piante che fungono da filtri.

Infine, il modello biologico non inquina l’aria, mentre l’agricoltura intensiva determina il 10% delle emissioni di gas serra, senza contare che il 5-10% dei prodotti chimici spruzzati sui campi vengono dispersi nell’atmosfera.

Modello veramente sostenibile?

Ha portato alla luce diverse problematiche circa la sostenibilità del modello biologico, una recente inchiesta del quotidiano tedesco Der Spiegel. Non una coincidenza, che tali preoccupazioni giungano proprio dalla Germania, che abbiamo visto essere il primo mercato europeo del Bio. Il quotidiano tedesco ha evidenziato che sebbene le vendite dei prodotti bio siano aumentati del 7,2% lo scorso anno, il numero delle aziende biologiche è cresciuto del solo 2%. Di questa ridottissima crescita sono responsabili diversi fattori.

Primo, il fatto che l’agricoltura biologica necessita di molto terreno, terreni coltivabili che non sono disponibili.

In secondo luogo, il fortissimo sviluppo della produzione di biogas, grazie ai costanti incentivi degli ultimi venti anni (incentivi di cui i coltivatori biologici beneficiano a seconda della magnanimità delle fazioni politiche che si alternano alla guida dei vari Lander), che ha portato i produttori di gas ad avere un potere d’acquisto decisamente maggiore rispetto ai piccoli coltivatori.

Terzo, la crescente domanda di prodotti bio ha portato diversi agricoltori, specialmente le nuove generazioni di coltivatori biologici, ad allontanarsi da quella che era la filosofia originaria del modello bio, dirottando la produzione verso la “convenzionalizzazione del biologico”. In sostanza, perché un prodotto venga certificato bio è soltanto necessario che sia conforme alle leggi, ossia privo di pesticidi, nel caso di prodotti agricoli, o di antibiotici, nel caso delle carni. In quest’ultimo settore specialmente si sta sviluppando la tendenza a tradire uno dei principi cardine del bio, il benessere degli animali, registrando diversi casi di sovraffollamento negli allevamenti biologici anche del 50 per cento.

Quarto, stanno dilagando i casi di frode, ossia della “falsificazione” di prodotti derivanti da agricoltura convenzionale certificati sotto il marchio bio. Eppure, rileva sempre il quotidiano tedesco, dal 2007 nessuno stato membro ha modificato il sistema di controlli.

Quinto, dal punto di vista dei lavoratori, le condizioni di produzione non sono diverse tra modello convenzionale e biologico.

Da ultimo, l’eccessiva concorrenza tra prodotti bio, specialmente a vantaggio di quelli provenienti da Ungheria, Romania e Ucraina,  ha portato a una distorsione del mercato, poiché il prezzo di vendita per essere competitivo non può rispecchiare realmente i costi di produzione sottostanti.

L’Unione Europea si è sicuramente resa conto degli ostacoli che oggi l’industria biologica è chiamata a superare, ma la revisione completa dei regolamenti sull’agricoltura biologica (RE 889/2009 della Commissione Europea)  prospettata dalla Commissione Europea non sembra promettere ai coltivatori bio un futuro più roseo. Specialmente perché improntata a un controllo ancora più capillare della produzione, che porterà gli imprenditori biologici ad affrontare rischi d’impresa eccessivi. Infatti, sarebbe assurdo chiedere a un contadino di rispondere dell’eventuale presenza di pesticidi, sospinti a causa del vento da un fondo a coltivazione convenzionale a uno confinante a coltivazione biologica!

di Giulia Pavesi

Linkografia:

http://www2.unibas.it/wiki/index.php/Biologico_vs_convenzionale

http://www.ismeaservizi.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/3780

http://www.sinab.it/sites/default/files/share/bio%20in%20cifre%202014_3.pdf

Internazionale, n.1080 anno 22.

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