Bagnoli: Lamont Young e Rione Venezia

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“Non ho voluto basare il mio progetto sopra una semplice speculazione di compra-vendita di suoli, che attualmente forma, per disgrazia dei Napoletani, il sostrato su cui si poggiano coloro i quali hanno fatto proposte per l’ingradimento perimetrale della città: […] ho dovuto mirare principalmente a provvedere Napoli di tutto quello di cui ora manca, riunendo nel nuovo Rione ai Bagnoli, al quale ho dato nome di “Campi Flegrei” […] onde formare in tal modo un primo nucleo di abitato, ma principalmente un centro di attrattive per tutti.” (Lamont Young)

Tra i numerosi progetti che hanno interessato l’area occidentale di Napoli verso la fine dell’800, quello di Rione Venezia spicca per la sua lungimiranza. Lamont Young (1851-1929) fu un ingegnere di origine scozzese nato e vissuto a Napoli, la cui lungimiranza non era stata capita a pieno durante la sua vita. Il progetto denominato “Rione Venezia e Campi Flegrei” riguarda una trasformazione radicale dell’area occidentale della periferia di Napoli, con l’intento primario di valorizzare la grandezza geografica del luogo e porsi come centralità turistica rispetto a Napoli. L’area interessata riguarda le zone di Bagnoli, Campi Flegrei, Fuorigrotta, Posillipo e Mergellina. La trasformazione si articola tramite delle strutture lagunari, che ospitano residenze e spazi pubblici, destinati ad attrattiva turistica e al tempo libero. Young era particolarmente affascinato dalla città di Venezia e dalla contraddizione in cui la città veneta è posta: la sua composizione lagunare la rende unica, ma ha degli aspetti negativi legati alla vivibilità. L’intento per Napoli è quindi quello di orientare la trasformazione verso una similitudine a Venezia. Il nuovo rione è formato da piccole isole, collegate da ponti e intramezzate da larghi canali che creano un insieme che si distacca dalla terra ferma.

Per quanto il progetto possa sembrare utopico, l’ingegnere Young si preoccupò di renderlo il più verosimile possibile, andando a definire tutte le modalità di realizzazione con una descrizione puntuale e precisa di ogni opera contenuta nel progetto, e diversi progetti di sistemi di smaltimento delle acque e relativi all’igiene e alla salubrità del luogo.

Il sistema di canali è dominato da un canale principale, chiamato Canale Partenope, l’unico non affiancato a strade di alaggio. Il motivo è che ogni casa situata sul tracciato di canale Partenope doveva avere un accesso interno al rione e uno navigabile lungo il medesimo canale.

La lungimiranza di questo progetto è sita nella modalità con cui Young è riuscito a definire due nuove centralità rispetto alla città di Napoli, Rione Venezia e Posillipo, attraverso un’architettura a larga scala fatta di connessioni, in questo caso ferroviarie e di canali.

Tra i progetti più importanti dell’ingegnere napoletano troviamo quello per la metropolitana di Napoli, che sarebbe stata la prima in Italia e una delle prime al mondo.

L’area di Bagnoli oggi, dopo un secolo di industrializzazione, ha subito delle trasformazioni irreversibili per cui è possibile affermare che “Napoli perse una grande occasione nel non dare attuazione all’affascinante progetto di Lamont Young.”

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Inaugurazione dell’ILVA nel 1910.

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Circolo dei Canottieri dell’ILVA.

 

Bagnoli e L’ilva – L’industria e la trasformazione radicale del territorio

La Fabbrica… era una fumifera città rossa e nera… sovrastata da un cielo incandescente… si srotolava per chilometri tra strutture verticali ed orizzontali, spiazzi, fasci di binari, carriponte lunghi sino ad ottanta metri… neri cumuli di residui minerali, strade, colmate a mare, pontili, navi, lampioni, camion, gru alte come palazzi. Cinque milioni e mezzo di metri cubi, un teatro gigante che vomitava a mare venti milioni di litri all’ora di veleni… e forse altrettanti ne spediva in forma gassosa in cielo. Assieme a laceranti colpi di sirena. Il primo fischio sferzava l’aria alle sei e mezzo del mattino: tutta Bagnoli si svegliava di soprassalto. (Ermanno Rea, “La dismissione”)

Il 1910 è l’anno in cui viene inaugurato lo stabilimento siderurgico dell’ILVA, nell’area di Bagnoli, nato dalla legge speciale per Napoli del 1904. Questa legge viene definita come “Provvedimenti per il risorgimento economico della città di Napoli”, mette al centro dello sviluppo della città la componente industriale e nel particolare quella siderurgica.

Dagli inizi degli anni ‘70, in poco tempo, ci si rende conto che è necessario il ridimensionamento della grande siderurgia. La crisi iniziò con una serie di chiusure di tutte le aziende degli stabilimenti: la crisi dell’Eternit, già iniziata negli anni ’70, portò alla sua chiusura nel 1985. L’Ilva, chiuse il suo altoforno, nel 1991 la Fedeconsorzi viene liquidata e tutto lo stabilimento Italsider chiuse nel 1992 definitivamente.

L’area di Bagnoli ha subito una trasformazione tale per cui il risanamento risulta un’impresa particolarmente ardua. Nell’introduzione della “Relazione sulla proposta di vincolo paesistico per Bagnoli”, Antonio Iannello, architetto e ambientalista, afferma:

“Oggi non vi è chi non riconosca che la scelta di fare di Bagnoli un’area industriale dove ubicare stabilimenti altamente inquinanti sia stata uno degli errori più gravi della storia sociale e urbanistica della nostra città.”

La situazione in cui si trova oggi Bagnoli, continua Antonio Iannello, è“la conseguenza dell’arretratezza della cultura urbana italiana.”.

 

I progetti per il futuro di Bagnoli – Piani regolatori degli anni ‘90

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Demolizione di una torre nel 2003.
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Progetto di Aldo Loris Rossi, “Napoli 2000: L’utopia realizzabile”, 1990.

13_Pagliara, 1989.

Progetto di Nicola Pagliara, 1989.

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ILVA dopo la dismissione.

An aerial view of the Naples' Bagnoli ar

La colata a mare in cemento dell’ILVA.

Dopo la dismissione del grande vuoto urbano dell’Italsider vennero proposte numerosissimi progetti da parte dei più grandi architetti e urbanisti italiani degli anni ’90, che accettarono una delle sfide più complesse per quanto riguarda la trasformazione urbana in Italia.

Aldo Loris Rossi, uno dei più importanti architetti della scuola napoletana di quegli anni, propose in un’esposizione della mostra del cinquantenario della facoltà di architettura un progetto chiamato “Napoli 2000: l’Utopia realizzabile.”. Tutto il progetto, ideato con la collaborazione di Emma Buondonno, si estende sull’intera città di Napoli e gran parte delle zone periferiche, con la zona occidentale che assumeva alcuni caratteri di rilevanza. Basato sulle teorie policentriche volte al fine di controllare la crescita urbana, presenta le aree di Campi Flegrei, Fuorigrotta, Coroglio, Bagnoli e Agnano come parco naturale legato polarmente a quello del Vesuvio.

“Il ridisegno della città scaturisce dalla struttura tettonica: ad ovest è individuato un sistema di crateri – unità urbane, autosufficienti e separate dal verde; al centro, l’agglomerato del rilievo collinare è riattrezzato al perimetro da tre centri di servizi (Camaldoli, Arenella, San Martino); ad est la piana alluvionale suggerisce un’orditura lineare e modulare contraddetta da una sistemazione paesaggistica.

I crateri già urbanizzati di Pianura, Soccavo e Fuorigrotta-Coroglio sono ristrutturati ed articolati in distinte unità urbane autosufficienti e separate dal verde attrezzato, gli altri crateri flegrei sono vincolati al parco naturale; l’area industriale di Coroglio, previo disinquinamento e rigenerazione idro-geologica, è destinata a parco urbano attrezzato anche in relazione all’attracco tursitico di Nisida”. (Progetti per Napoli – 1987, pp.149-152)

Nicola Pagliara, scrive le motivazioni del suo progetto per l’area, datato 1987:

“Questa mia piccola proposta per l’area di Coroglio e di Nisida è un esempio di come possa essere giustificata e realistica, un’autentica follia politico-sindacale: essendo quasi impossibile prevedere l’allontanamento dello stabilimento Italsider, ho preferito immaginarne, per effetto del bradisismo, un parziale affossamento ed allagamento, e l’emersione e parziale ricostruzione di una ipotesi di tessuto urbano romano, con le sue stratificazioni, e le sue memorie.” (Progetti per Napoli – 1987, pp.149-152)

Anche Vittorio Gregotti fece la sua proposta per la trasformazione dell’area. Su un articolo pubblicato su Rassegna sul tema dei territori abbandonati, scrive:

“A Napoli lo stabilimento di Bagnoli, da cui deriva buona parte della storia industriale della città, quando fosse ristrutturato e si ammettesse di recuperarne una parte e il fronte a mare, consentirebbe, attraverso una nuova industrializzazione, di riqualificare il settore urbano di Fuorigrotta e l’arco costiero di Pozzuoli. Se ne gioverebbe anche Pozzuoli e in un certo senso la città grande intorno a Napoli, se la ristrutturazione fosse l’avvio di una nuova considerazione delle qualità geografico-storiche dell’arco costiero da Nisida a Capo Miseno”. (Rassegna, Anno XII, 42/2 Giugno 1990, Bologna, p.43)

Tra i numerosi progetti vanno inoltre citati quello di Renzo Piano e Cesare De Seta e quello dello studio di Massimo Pica Ciamarra. La proposta di Variante finale per la zona occidentale di Napoli finì per prevedere un grande parco pubblico e una rete di attività produttive, tutte strettamente legate all’attività scientifica. Con la trasformazione del vuoto urbano residuo di scelte fatte precedentemente sul territorio, Bagnoli deve ripartire come nodo culturale per la città di Napoli.

di Fabrizio Esposito