Splendida giornata qui in Brunei

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Diario di bordo di un italiano all’equatore- prima puntata.

Appunti e riflessioni dal Paese più ricco del mondo.

 

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Il verde di una natura cosi rigogliosa e viva, il bianco di queste sontuose ed eleganti moschee, il rosa di cui tutto il cielo si colora durante il tramonto..

Un mese che sono qui e lo spettacolo che la natura offre non accenna ad arrestarsi, cosi come la mia voglia di esplorare il mondo tutt’intorno.

È una splendida giornata di sole qui in Brunei. Il paese che non t’aspetti, quello di cui pochi ne riconoscono l’esistenza. Ma c’è. E mi ci sento immerso completamente.

Naturalisticamente parlando ciò che offre è grandioso. Sapevo sarei finito all’equatore, ma non credevo di essere nel cuore della jungla piu rigogliosa del pianeta, sulla terza isola piu grande del mondo, il Borneo. Questa commistione tra vegetazione e habitat marino dà l’opportunità di poter godere di una bella camminata in una spiaggia tropicale o una corsa nella jungla, immerso tra i suoni della natura, spiato da decine di scimmie curiose.

Impressionante è la varieta di flora e fauna che si può incontrare in questi angoli sperduti di pianeta, una biodiversità pazzesca, una natura che vive e respira.

Quando la mattina apro gli occhi, mi trovo di fronte questa muraglia verde, imponente, impenetrabile. Quante cose che si nascondono la dietro! Quanto tempo speso a capire quale animale emettesse quel particolare suono! Ogni giorno, a secondo dell’orario, hanno luogo le orchestre più naturali e intonate del globo… E che piacere ascoltarle!

Le scimmie si rincorrono, le iguane rimangono aggrappate ai rami degli alberi, le specie più colorate di volatili pitturano il cielo… allora capisci che se per 5 anni ti sei alzato vedendo solo il cemento grigio di Milano, ti stai prendendo una bella rivincita!

Una scarica di emozioni, per il corpo e per lo spirito.

In Brunei si vive come in una bolla in cui da fuori tutto appare piatto e privo di colpi di scena, ma dall’interno la mia vita è cosi pittoresca e variegata, così diversa ed estraniante. Sono ignaro di ciò che sta succedendo in altre parti del mondo. Ed è cosi inutile leggere il giornale qui che sono perfino incosciente di ciò che alimenta le cronache locali e attira l’attenzione di questi annoiati (e talvolta noiosi) locali.

Questa mattinata domenicale parte con la consapevolezza di aver promesso ai miei nonni che (una volta tanto) sarei andato in chiesa per una preghiera. Ormai è troppo tardi per la messa, ma decido comunque di mettermi in marcia, mosso anche dalla curiosità di vedere questa fantomatica chiesa cattolica nel sultanato del Brunei! Qual bel gesto di tolleranza religiosa che mai mi sarei aspettato in questa terra cosi spiritualmente rigida!

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La chiesa è di quelle ultra spoglie senza una traccia di affresco o di un elemento storico che solitamente caratterizza l’architettura italiana. Ma non pretendiamo anche la storicità adesso!

Tuttavia è come se in un attimo mi sentissi in un ambiento protetto, famigliare. Da un posto anticonvenzionale quale il Brunei, dove indubbiamente risulto un pesce fuor d’acqua, la vista di un elemento cosi nostrano, appartenente alle mie tradizioni, alle mie origini, mi ha conferito un grande senso di conforto. Quasi mi sono emozionato. Perché è inutile rinnegarlo, checché ne possa dire, le mie radici sono Cristiane.

Lo scossone provato lo intendo come un monito… puoi andare dove ti pare, ma non dimenticare le tue radici. E nonostante mi senta un po’ un randagio dentro, uno senza fissa dimora in questo mondo, la cui casa non ha confini, non posso fare a meno di riconoscere le mie origini. Quelle con le quali sono cresciuto. Sentirei una mancanza..

La giornata poi prosegue serena, con un bel pranzo in solitaria e una mezz’oretta di sana lettura. Confermo con i miei amici il trekking pomeridiano. Sale l’entusiasmo di planare tra i sentieri di Bukit Shabandar, un parco stupendo nel mezzo della jungla, per quello che pare diventare un appuntamento domenicale qui in Brunei. Un secondo, non rendiamo troppo routinaria questa splendida “abitudine”. Perderebbe di fascino altrimenti.

Presupponevo che la camminata fosse come le altre, di quelle che fatichi, ma ti godi il paesaggio e la natura e ti fai due chiacchiere. Cosi non e’ stato!

Inizialmente scopro che il programma è quello di correre anziché di camminare. Per me va bene, anzi ancora meglio.. ma quel poveraccio di Safa che non si muove da anni e si è pure portato dietro lo zaino da 38l per l’occasione?

Il risultato è un disastro… ogni poche centinaia di metri, i tre davanti (me compreso) erano costretti a fermarsi per aspettare Safa, il quarto. Ad un certo punto, mentre tutto filava liscio, mi viene la bella idea di staccarmi e aumentare il passo. Fu cosi che aspetto i miei compagni a vuoto per una serie di minuti.

Saranno rimasti indietro ad aspettare Safa? Avranno preso un’altra direzione? Tiro delle urla a vuoto e decido allora di riprendere la mia corsa in solitaria poiché una lunga attesa lì avrebbe potuto complicare la mia situazione visto che erano le 17 e Madre Natura concedeva un’ora di sole soltanto.

Procedo nella mia magnifica corsa/camminata in mezzo alla jungla, beandomi dei suoni fantastici della natura e dello spettacolo di colori davanti ai miei occhi, dove in fila vi erano rispettivamente la jungla, la spiaggia, il mare e il sole che piano piano scendeva in lontananza. Memore del precedente trekking decido di tornare indietro per la strada che sapevo per esperienza essere più corta, poiché la luce stava diventando sempre più fiacca. Dopo una mezz’ora torno al punto di partenza e lì si conclude la mia avventura. Erano più o meno le 17.45. Mi metto a fare stretching, due esercizi alla sbarra, nel tempo che presumevo loro arrivassero. Passano i minuti e il tramonto imperversa. Solito spettacolo di luci, di nuvole che si colorano, ma non c’era il tempo di vederle poiché la mia preoccupazione saliva. 18.10, 20, 30… Buio pesto. Sapevo loro fossero sprovvisti di torce.

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Mi imbatto dunque in quelli della forestale, che mi hanno visto palesemente in attesa di qualcuno. Mi chiedono di loro. Iniziamo a preoccuparci. Mi devono trattenere per dissuadermi dal buttarmi dentro la jungla per cercarli. Mi dicono che entro le 19 chiameremo i soccorsi se i miei amici non arrivano.

Si stupiscono che io fossi l’unico straniero del gruppo e l’unico che in quel momento fosse definito “salvo”.

Le chiamate vanno a vuoto e io comincio seriamente a pensare che Safa si sia fatto male o qualcosa sia successo. Ma quando tutto sembrava compromesso per chiamare i soccorsi, alle 18.50 ecco la chiamata di uno di loro: “Eccoci, siamo quasi arrivati”. Gran sospiro di sollievo! Quelli della forestale vogliono comunque incontrarli e registrano, non so per quale motivo i loro nomi e cognomi su un’agenda di carta, ponendo loro una lunga serie di domande. Un buon cocco fresco fa riprendere dalla fatica e dallo spavento. Viva l’avventura!!

La giornata non è ancora terminata, c’è ancora tempo per incontrare un ragazzo in couchsurfing che ospiterò per un paio di giorni. Prima esperienza per me in questo strano mondo, cosi desideroso di condividere le mie esperienze di vita con qualche sgangherato che incontro sulla mia strada.

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L’argentino che sto ospitando è il personaggio che mi aspettavo, quello un po’ fuori dai gangheri, anticonformista e… con idee a dir poco curiose. Soprattutto quelle relative ai ristoranti.

Ebbene, con il resto della truppa siamo d’accordo per andare a mangiare da Aminah Arif, ristorante tra i più tipici, dove si possono degustare deliziosi piatti locali. Nel suo volto noto subito un’aria di disappunto e disapprovazione, ma preferisco lasciar perdere. Dopo una cena in cui è rimasto prettamente in silenzio e in disparte, approcciato solo dal giapponese desideroso di scambiare con lui le due parole di spagnolo che conosceva, avevo notato qualcosa che non andava. Nella chiacchierata al ritorno a casa, davanti a un bel te’ che lui stesso aveva comprato a Bali, scopro con stupore che l’argentino si ritiene contrario ai ristoranti, e che preferirebbe sempre andare in una di quelle baracchette da strada che si trovano comunemente in Asia. Peccato che non siamo in Asia, ma siamo in Brunei. La ragione risiederebbe nel fatto che nei ristoranti i piatti sono fortemente rincarati, e il conto non comprende solo il piatto stesso, ma anche lo stipendio delle varie persone che ci lavorano, che a suo dire non hanno nulla a che fare con il ristorante.

E ci sta. Il ragionamento dal mio punto di vista non fa una piega. Ma ogni tanto uno strappo alla regola si può anche fare. E poi che fai? Una volta che sei al ristorante, ti ammutolisci e rovini anche quell’unica occasione che hai ogni tanto di mangiare qualcosa di diverso?

Non sa bene che rispondermi…

Che strano personaggio. In più, da quando ha scoperto che Couchsurfing è concepito non più come un’organizzazione senza scopo di lucro, ma come una vera e propria azienda, ha smesso di scrivere referenze pubbliche alle persone, in una sorta di segno di protesta.

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Nella passeggiata notturna a Bandar decido di approfittare della sua compagnia per fare visita a un posto in cui non ero mai stato e di cui mi avevano parlato come “l’altra faccia del Brunei”.

Kampong Ayer, il piu vasto villaggio sull’acqua del mondo. Si trova proprio di fronte alla capitale, raggiungibile a piedi mediante dei ponti che dipartono proprio dietro la moschea principale. La puzza e i rifiuti mi fanno pensare di essere in un altro paese. A quanto pare il Sultano non ha molto interesse a investire soldi in questo angolo di paese, che proprio angolo non e’, visto che qui vivono almeno 30.000 persone, e per girarlo tutto con un water taxi ci vuole almeno un’ora. Pare che il governo abbia dato anche degli incentivi a queste persone (che ancora fanno i loro bisogni in mare per mancanza di una rete fognaria) affinché vadano a vivere sulla terraferma, ma loro non hanno accettato. Preferiscono vivere là, dove sono cresciuti, a scapito delle loro terribili condizioni igieniche.

E dire che i veri locali sono proprio loro, essendo stati i primi a essersi stanziati in quello che oggi viene chiamato Brunei, circa 650 anni fa.

“Vorrei venire qui a fare due foto la prossima volta” dico all’argentino. “Ho smesso da qualche anno di fare foto in vacanza..” mi risponde. Incuriosito, chiedo perché. “La gente non si comporta allo stesso modo quando hai con te una grossa macchina” continua, “non voglio che chi ho di fronte venga influenzato e non si comporti in maniera naturale… e in più se ti fermi a fare una foto, vuol dire che non ti stai godendo a fondo ciò che vedi”. Il suo discorso mi colpisce appieno, e fondamentalmente ha ragione.

Torniamo a casa, un caffè, due discorsi, tutto procede regolare, tutto continua per il meglio.

Un altra splendida giornata qui in Brunei…

di Andrea Cecchi