Categoria | Politica-Economia

Paese che vai, Università che trovi.

Pubblicato il 17 novembre 2013 da redazione

Sergio Staino

Fumetto illustrato di Sergio Staino.

Negli Stati Uniti d’America e in Gran Bretagna si trovano le dieci migliori università del mondo, questo il dato, secondo la pregiatissima classifica annuale del QS World Ranking University.

Il MIT (Massachusetts Institute of Technology) e Harvard sono infatti ai primi posti per la qualità dei loro servizi. Sicuramente non sono però in testa alle classifiche in termini di economicità: circa 40000 dollari (30000 euro), il costo medio delle università private americane.

L’Italia in questa classifica si trova entro le 300 posizioni, in testa con l’Alma Mater  Studiorum di Bologna alla 194esima posizione, La Sapienza di Roma alla 216esima e il Politecnico di Milano al 244esimo posto. Considerando che questa classifica prende in considerazione le 800 università migliori del mondo, l’Italia si trova a un livello abbastanza prestigioso, ma se si scorre indietro con la rotellina del mouse si scopre che viene superata addirittura da paesi come Brasile, Lituania, Sud Africa e molti altri, non proprio rinomati per la cultura come l’Italia.

Tornando ai vertici della classifica e analizzando l’offerta delle università pubbliche, si scopre che quelle inglesi raggiungono anche queste le prime posizioni, con un costo di circa 9000 sterline annue (10710 euro). Certamente una cultura non alla portata di tutti.

Restringendo il campo al panorama europeo, in Francia per esempio, è lo Stato a farsi carico di ben 10000 euro a studente ogni anno, abbassando a 181 euro la quota d’iscrizione a una laurea triennale e 250 euro per una magistrale. Nel caso degli istituti privati, in particolare per gli indirizzi commerciali, il costo si aggira tra i 3 e i 10 mila euro, prezzo in ogni caso inferiore alla concorrenza d’oltreoceano.

L’Italia resta nella media, mantenendosi sui 1500 euro per l’offerta pubblica e sugli 8000 euro per quella privata, a seconda dell’indirizzo prescelto. Ma non è solo una questione di costi, anche sul piano delle opportunità di accesso ci sono difficoltà. Proprio in questo periodo in Italia si sta discutendo sull’abrogazione della legge del numero chiuso nelle facoltà; in Francia invece, grazie all’articolo L612-3 del “Code de l’éducation”, è già stata vietata qualsiasi forma di selezione all’ingresso.
Come riportato dal Corriere dell’Università, in Francia i candidati sono obbligati a pre-iscriversi per maturare una scelta più consapevole, ma l’ateneo di riferimento deve trovarsi nello stesso distretto territoriale dove è stato conseguito il diploma o dove si risiede, forse per stimolare una frequenza più costante alle lezioni e garantire il diritto allo studio nel territorio in cui si è cresciuti.

Anche in Italia fino agli anni 80, gli indirizzi universitari erano distribuiti in corrispondenza della specificità dei poli produttivi, così per esempio ai cantieri navali di Trieste, Genova e Livorno corrispondevano le migliori facoltà di ingegneria navale.

Allargando lo sguardo verso giganti mondiali come Australia e Cina, le situazioni cambiano radicalmente.  “Lasciatemi dire che in Australia mi piacerebbe vedere molti più studenti italiani.” Ha dichiarato l’ambasciatore australiano in Italia David Ritchei. “ Mi piacerebbe che la gente anziché pensare che è’ troppo lontana, guardasse all’Australia come a una terra vicina; che guardasse alla qualità della nostra istruzione. Vorrei vedere molti più giovani venire a studiare nel mio Paese. Attualmente ospitiamo già centinaia di studenti stranieri, ma soprattutto in momenti come questo, in cui è difficile trovare lavoro in Italia,  un’altra cosa che stiamo cercando di diffondere è l’idea che le persone possano andare a studiare in Australia e contemporaneamente trovare lavoro li. Abbiamo bisogno di persone di talento e ci piacerebbe vedere tanti giovani arrivare.”

ImmagineSono, infatti, ormai moltissimi i giovani che decidono di lasciare l’Italia per cercare “fortuna” fuori dai confini nazionali, prima in America, poi a Londra e ora la meta preferita sembrerebbe proprio l’Australia. L’Australian Education International (AEI) ha stimato che dal dicembre 2011 a dicembre 2012 il numero di richieste di visti studenteschi è aumentato del 42,8%.

La Cina con 1,5 miliardi di abitanti, conta circa 25 milioni di studenti, tra cui 150.000 stranieri.
Si stima, per esempio, che almeno 9000 giovani italiani siano volati in Asia, per poter approfittare di uno stage da inserire nel curriculum o alla ricerca di un posto di lavoro fisso. Molti di questi sono disposti, per i primi tempi, anche a non percepire alcun stipendio, pur di poter confrontare il funzionamento di un sistema diverso da quello italiano.
La chiamano “fuga dei cervelli”, ma questi paesi accoglienti sono ben disposte ad accettare questi giovani talentuosi, soprattutto se provengono da un paese come l’Italia, da sempre riconosciuto in tutto il mondo per la qualità dell’offerta formativa.

Immagine2La cifra degli studenti universitari italiani pronti ad espatriare? Ben il 59 percento, secondo il delegato nazionale della Coldiretti Vittorio Sangiorgio, una cifra veramente allarmante. Le cause sono da riscontrare nelle scarse prospettive occupazionali nel Paese. Inoltre il 73 per cento dei giovani ritiene che l’Italia non possa offrire un futuro concreto.

Anche dalle cifre di Alma Laurea (il consorzio interuniversitario coordinato dall’Università di Bologna – www.almalaurea.it ) la situazione è decisamente drastica. L’11.1% dei giovani intervistati al 2012 risulta senza contratto o con una propensione verso un contratto part-time.
Questo è il futuro che veramente aspetta noi giovani?

Si salvi chi può …

di Valentina Calloni

Linkografia:

www.almalaurea.it

Lascia un commento

Advertise Here

Foto da Flickr

Guarda tutte le foto

Advertise Here

LINK