Può la gelosia essere considerata una malattia?

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1_gelosiaPrima di diagnosticare a sè stessi depressione o bassa autostima, assicurarsi innanzitutto di non essere, di fatto, solo circondati da idioti.” (William Gibson).

Una pillola contro la gelosia: un gruppo di ricercatori dell’Università di Pisa lancia questa sfida a partire da una ricerca recente che dimostra che responsabile di questo “sentimento” vecchio come il mondo, antico ed eterno come l’amore, col quale sovente si accompagna, sia una precisa area del cervello, in particolare la corteccia ventromediale prefrontale, connessa anche col manifestarsi di alcolismo, schizofrenia e ossessioni di vario genere (che spesso hanno un ruolo centrale nel comportamento geloso).

Pare che ci sia infatti una connessione tra queste patologie e l’alto tasso di gelosia, ma più in generale si può attribuire questo comportamento al fatto che in tutte queste manifestazioni, più o meno patologiche, l’aspetto emotivo è centrale e il suo processo avviene in quest’area del cervello.

Rebecca-la-prima-moglieSindrome di Otello e di Rebecca.

Il comportamento geloso, più che un fastidio per il partner, consiste in un’insicurezza di base della persona che lo vive, (generalizzata o rispetto ad alcuni aspetti specifici, nella quale concorre una bassa autostima). Così il “geloso” si trova a gestire una marcata ansia (aspetto caratterizzante di queste dinamiche) del confronto, verso altri ipotetici rivali che possono farle sfuggire il tanto amato oggetto d’amore; la gelosia non è necessariamente patologica, anzi, spesso, se contenuta, aggiunge un po’ di pepe alla relazione, dimostrando l’interesse da parte del partner e tenendo viva la passione; essa, spesso, è connessa alla possessività, anche se da questa si differenzia. La gelosia, infatti, è proprio una sorta di insicurezza nei confronti del partner che ruota attorno al concetto che esso/a, se posto in determinate condizioni, o con determinati tipi di persone, potrebbe tradire (si tratta della “sindrome di Otello”, la cosiddetta gelosia “retroattiva”, o dell’insicurezza nei confronti degli ex partner e delle esperienze passate in generale, che è chiamata la “sindrome di Rebecca”, dal film di Alfred Hitchcock “La prima moglie” ispirato al romanzo di Daphne DuMaurier).

Narcisismo e voyerismo.

La possessività, invece, si manifesta nei confronti degli altri, che possono guardare, toccare, desiderare o tenere semplicemente  occupato il partner, distogliendolo dagli occhi e dalle attenzioni dell’innamorato, non necessariamente sul piano sentimentale o sessuale, ma anche nei confronti di altri tipi di relazioni significative per la vita della persona, quali la parentela, la cerchia amicale, eccetera.

Vi è poi il polo opposto a questo atteggiamento, come il “narcisismo” o il “voyerismo” che vedono il partner come una sorta di “trofeo” da esporre agli altri e il fatto che esso sia da questi guardato o invidiato, lo rende ancora più desiderabile agli occhi del narcisista, un valore aggiunto per sé, un attributo positivo che va ad accrescere il proprio ego (anche qui molto fragile in quanto continuamente dipendente dal giudizio e stima degli altri, visti come sorta di “pubblico”).

In tutte le relazioni, se vogliamo pensare a un concetto di “sanità”/”patologia”, piuttosto come un continuum di infinite gradazioni, tutti questi sentimenti sono compresenti, in misure più o meno ingenti e agglomerati in un tutt’uno che si esplica nel modo in cui tutti noi viviamo il legame sentimentale.

stalkingStalking.

Quando, però, gli accenti di queste emozioni diventano più esasperati e drammatici, non sempre si tratta  di patologia, in sé e per sé, del singolo individuo, ma di patologia del legame, una relazione costruita e vissuta in modo insano con dinamiche perverse. Sicuramente possono anche essere presenti aspetti biologici, di squilibrio neurochimico, ma personalmente ritengo che questa spiegazione, di per sé, sia riduttiva e conduca, a volte, a clamorosi errori di intervento. L’essere umano, infatti, è un soggetto di natura bio-psico-sociale, che spesso si trova a costruire relazioni nelle quali adotta comportamenti che deteriorano i rapporti fino a portare il partner a confermare tutte le proprie paure di tradimento e abbandono. In una sorta di “profezia che si autoavvera”, a partire, forse, da una patologia individuale, alcune persone si trovano, compatibili con questo tipo di gioco, si ritrovano ad essere come delle vittime con il loro carnefice. Così, per esempio, in ogni relazione di stampo sadomasochista c’è un incastro preciso di bisogni opposti e complementari che reggono il gioco fino a che non superano, a volte drammaticamente, la misura (ridondante forse ricordare come l’ultimo boom letterario della scorsa estate, vero fenomeno della cultura di massa, sia stata l’inflazionatissima storia tra la passiva e remissiva Anastasia Steel e il terribile e affascinante Christian Grey).

Spesso le donne vittime di partner violenti, ossessivamente gelosi fino a compiere atti persecutori, soprattutto dopo essere stati lasciati, incorrono ripetitivamente, (a volte a partire da relazioni di violenza subita o assistita durante l’infanzia) in relazioni costituite da questo schema, del quale, anche nei casi più manifesti, la sua pericolosità viene a delinearsi troppo tardi, quando ormai la situazione di allarme è definitivamente degenerata o ha, addirittura, raggiunto un tragico epilogo. Soltanto dall’Aprile 2009 (D.P.R. n38, 23 Aprile 2009) infatti, in Italia, esiste una legge in materia di stalking(“Comportamenti persecutori, diretti o indiretti, ma comunque ripetuti nel tempo, che incutono nella vittima uno stato di soggezione provocandole un disagio fisico o psichico e un ragionevole senso di timore”) che seppur vede l’intervento giuridico previsto solo su querela da parte della vittima, obbliga comunque i professionisti delle forze dell’ordine, gli operatori sanitari o i dipendenti di istituzioni pubbliche a indirizzare la vittima, se adulta (nel caso di minori si procede, invece, d’ufficio) qualora si venga a conoscenza di una tale suddetta situazione, verso i servizi adibiti (Art.11, 1: “Le forze dell’ordine, i presidi sanitari e le istituzioni pubbliche che ricevono dalla vittima notizia del reato di atti persecutori, di cui all’articolo 612-bis del codice penale, introdotto dall’articolo 7, hanno l’obbligo di fornire alla vittima stessa tutte le informazioni relative ai centri antiviolenza presenti sul territorio e, in particolare, nella zona di residenza della vittima. Le forze dell’ordine, i presidi sanitari e le istituzioni pubbliche provvedono a mettere in contatto la vittima con i centri antiviolenza, qualora ne faccia espressamente richiesta”). Questo tentativo di sensibilizzazione a livello socio-culturale, spesso, serve a rompere tabù, laddove la resistenza ad intervenire o a riconoscere proprio il disagio e il rischio, è prima che nel singolo, nel contesto circostante di riferimento (non dimentichiamo, infatti, che esso fa da rete di rischio e/o protezione presentando molteplici vincoli e opportunità).

Storie passate di abbandono, insicurezza e bassa autostima.

Contesto di vita, storia di legami, anche per il partner invasivo e geloso, in quanto alla base della non fiducia ci possono ovviamente essere, spesso, anche per la gelosia più blanda e per così dire “fisiologica” di ogni relazione, esperienze pregresse di abbandoni, rifiuti o tradimenti, più o meno elaborate, oppure più semplicemente tutti quei vissuti soggettivi delle canoniche tappe evolutive dell’esistenza, che fanno le differenze tra le persone in termini di autostima, insicurezze, impotenza appresa, tratti di personalità, identità. Quest’ultime vanno ad influenzare anche l’aspetto biochimico del cervello, dal momento che esso è un organo plastico e modificabile dalle esperienze, che al tempo stesso verranno vissute in modo diverso a seconda della persona che le esperisce. Così, a partire da come è un individuo, questi si costruirà e sceglierà un ambiente, piuttosto che un altro, e di esso coglierà più o meno differenti possibilità, si muoverà fra determinate reti di relazioni che influenzerà e dalle quali verrà influenzato, avrà determinati vincoli di contesti non scelti, ma dati, come ad esempio il proprio contesto socio-culturale di riferimento.

Soluzioni dalla farmacologia

Ma ecco pronta dal mondo della psicofarmacologia una soluzione: dai ricercatori del laboratorio di stress traumatico di Tolosa, dopo anni di ricerche, è giunta la notizia che si è arrivati ad indentificare nel “propanolo” una sostanza in grado di eliminare i ricordi negativi, o meglio la carica emotiva ad essi annessa.

Al di là del “Disturbo post-traumatico da stress”, in senso stretto, si tratta di un quadro molto complesso e particolarmente marcato, che necessita di interventi mirati differenti e specifici e che riguarda più spesso quelle persone che hanno avuto a che fare con traumi di guerra, incidenti o catastrofi naturali. Per il resto, è un dato di fatto che la vita sia composta, purtroppo o per fortuna, anche da lutti, sia in senso letterale sia metaforico, e che il loro superamento e la loro elaborazione provochi a volte emozioni, anche negative. La crescita stessa è fatta di separazioni rispetto a stadi precedenti, elaborazioni della perdita di parti dell’io e integrazione, nel continuo esplicarsi di quel processo che è la costruzione dell’identità della persona.

Forse, una pillola che cancelli tutto ciò potrebbe essere, per certi versi, liberatoria e curativa, per altri pericolosa, in quanto si assume un gran rischio, quello di negare alla persona l’accesso ad una delle più grandi risorse dell’esistenza umana: le emozioni.

Noi siamo ciò che attualmente siamo, anche grazie alla totalità dei nostri ricordi e alle esperienze passate e per quanto riguarda, a maggior ragione, le esperienze negative, anche grazie a quanto abbiamo saputo “raccontarcele” e quindi ricordarle, (non solo a livello della semplice informazione cognitiva presente nel magazzino mnestico, ma anche quindi in senso emotivo) ovvero affrontarle e gestirle.

2_gelosiaLa “soluzione” si trova nel superamento del “trauma”.

Dai tempi di Freud fino all’evidenza clinica odierna, si è intuito che è spesso nel “trauma” si trova la “soluzione” per il suo superamento, cercando di capirne il significato e decifrare il senso del perché quell’esperienza in particolare della nostra vita appare a noi stessi tanto traumatica e magari quell’altra, che potrebbe essere oggettivamente più “grave” no; ciò implica sicuramente un carico di sofferenza che però a volte è necessario attraversare e “sentire” per poterla poi superare. Nelle nostre emozioni e ricordi di esse (il ricordo è in realtà più che altro una ricostruzione alla luce del presente, quindi è importante anche capirlo per chiarire alcuni aspetti presenti, dal momento che in momenti diversi della vita uno stesso episodio ricordato può assumere poi via via valenze molto diverse, come a dire che non è tanto importante il cosa si ricordi, ma il come lo si faccia) vi sono insite proprio le risorse per non ripetere, ma per rielaborare; le emozioni umane sono infatti proprio da un punto di vista di funzionamento, anche basilare, animale adattive.

Per cui anche la persona gelosa potrebbe un giorno arrivare a fidarsi incondizionatamente del partner e/o degli altri che lo circondano, oppure avere più strumenti per capire di chi non eventualmente fidarsi, per non incorrere sempre nelle medesime dinamiche dolorose.

Perché in fondo, come disse William Gibson:“Prima di diagnosticare a sè stessi depressione o bassa autostima, assicurarsi innanzitutto di non essere, di fatto, solo circondati da idioti”. O anche Barthe: “Come geloso, io soffro quattro volte: perché sono geloso, perché mi rimprovero di esserlo, perché temo che la mia gelosia finisca col ferire l’altro, perché mi lascio soggiogare da una banalità: soffro di essere escluso, di essere aggressivo, di essere pazzo e di essere come tutti gli altri.”

di Arianna De Batté

Linkografia:

http://rassegnastampa.unipi.it/rassegna/archivio/2013/04/17SIA3101.PDF

http://www.camera.it/parlam/leggi/09038l.htm

http://www.ilsecoloxix.it/p/mondo/2013/03/30/APfSqS9E-ricordi_pillola_contro.shtml

http://it.wikipedia.org/wiki/Disturbo_post_traumatico_da_stress